"Torso" - Iosif Brodskij, Parafrasi e commento

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view post Posted on 28/11/2014, 16:55     +2   +1   -1
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"Torso"

Iosif Brodskij



da Poesie italiane



Se capiti a un tratto tra erbe di pietra,
più splendenti nel marmo che nella realtà,
e se vedi un fauno giocare con una ninfa,
entrambi più felici nel bronzo che nel sogno,
puoi lasciar cadere il bordone dalle mani stremate:
sei nell'Impero, amico.

Aria, acqua, fiamma, fauni, naiadi, leoni,
copie dal vero o corpi immaginari,
quel che ha inventato Dio e che è stanco
il cervello di continuare, s'è fatto pietra o metallo.
Questa la fine delle cose - questa la fine del cammino,
lo specchio per entrare.

Mettiti in una nicchia vuota, e rovesciando gli occhi
guarda scorrere i secoli che scompaiono dietro
l'angolo, e il muschio ricoprire il ventre,
e la polvere posarsi sulle spalle, patina del tempo.
Qualcuno spezzerà un braccio, e la testa rotolerà
giù, con un tonfo.

E resterà un torso, anonima somma di muscoli.
Mille anni dopo abiterà nella nicchia un topo,
l'unghia rotta dalla lotta col granito: uscirà una sera
e squittendo zampetterà oltre la strada
senza tornare a mezzanotte nella tana.
E neppure al mattino.


1972



Libri



Il sogno veneziano. Difficile parlare della poesia di Brodskij senza accennare alla sua biografia: autodidatta e ribelle, attaccato dalla stampa di regime, fu processato a 24 anni per "fannullaggine e vagabondaggio" e condannato dopo un interrogatorio-farsa a cinque anni di lavori forzati in un campo di rieducazione del grande nord russo. Liberato dopo poco più di un anno, anche per le pressioni dell'opinione pubblica occidentale, visse stentatamente ostinandosi a non fare altro che il mestiere di poeta finché nel giugno 1972 fu espulso dall'Urss. Emigrato negli Usa, dove cominciò a insegnare in una università, col primo stipendio si pagò un viaggio a Venezia: suo obiettivo da molti anni, città in cui poi abitò ed ebbe amici - e dove oggi è sepolto.

Proprio a Venezia sembrano ricondurre i versi del nostro testo, o meglio all'immagine fantastica che di Venezia si era fatto anche prima d'arrivarci: epitome dell'arte occidentale, tutta marmi e bronzi che si specchiano nell'acqua, e figure mitologiche e leoni, parenti delle sfingi italianizzanti che popolano la natia Leningrado. A lui, giunto dall'impero d'Oriente, Venezia appare come il saluto di quello d'Occidente: "sei nell'Impero, amico". "Impero" è sempre in Brodskij parola ambigua: se da una parte è segno di stabilità, un potere alleato del Tempo più che della Storia-scabbia-del-mondo, sì che in esso si può riposare (deporre il bordone, cioè il bastone del pellegrino), dall'altra è una coazione totalitaria a cui non si sfugge - dall'Urss agli Usa, da un impero all'altro mentre l'equilibrio geopolitico è garantito dalle opposte bombe ("apoteosi/dell'oggetto in noi stessi, barattare/ quiete in cambio di sottomissione").

Su questa fondamentale ambiguità si gioca anche il sogno veneziano: l'arte è più bella della vita, il marmo prevale sulla psicologia, gli elementi primari vorticano in una creatività favolosa che eccede le capacità del cervello umano e si collega direttamente alla creazione divina; ma il farsi pietra o metallo è anche "la fine delle cose" - è, al termine della strada, "lo specchio per entrare". Di quale strada, e per entrare dove ? Venezia, si sa, è un baluginio di specchi: ma gli specchi sono anche cornice, congelano il flusso - entrare attraverso lo specchio significa inoltrarsi in un'altra dimensione. La strada è quella della conoscenza, che non può essere se non conoscenza della morte; nello specchio, in altri testi di Brodskij, affiorano scene erotiche dove i corpi sono ritagliati in frammenti, in torsi senza volto. L'arte (lontana da qualunque estetismo consolatorio) è la porta per capire che ogni essere vivente tende all'inanimato. Lì è la frattura profonda che la repressione e il campo di lavoro hanno causato nella psiche di Brodskij: in lui s'è insinuato un lento ma inesorabile processo di auto-reificazione ("cominciando col crepacuore/ e finendo con l'impietrarsi"). Invece dell'eroismo romantico in lui s'è installato un lucido nichilismo: l'unico modo per resistere all'inumanità del Potere è rendersi disumani - negli anni tra l'arresto e l'espulsione crea una sua disperata metafisica, in cui gli oggetti sono più onesti delle persone, gli amici sono ritratti come "nature morte" e l'unicità dell'individuo appare come reperto archeologico. L'esilio empirico non farà che inverare una già collaudata epiù radicale disappartenenza, una percezione di sé come "rovina".

Il nostro testo ha un'architettura calcolatissima: la prima strofa illustra la situazione, la seconda pone il problema, la terza fa esplodere la tragedia e la quarta ipotizza una via di fuga. Anche la metrica, sia pure mascherata con parecchie infrazioni ritmiche, è implacabile: sestine formate da tre distici a rima baciata, la cui base è un "dol'nik" a tre ictus - doppio (con cesura) nei versi lunghi e semplice nel sesto verso di ogni strofa. Una regolarità iterativa che modella il flusso verbale in un corpo solido, analogo alle sculture. Il lavoro del poeta è definizione, scelta, costruzione di oggetti classici in cui l'individualità si sbriciola e si annulla. La prima metamorfosi è la trasformazione del poeta in statua: stando in una nicchia vuota vede, come in Ovidio, il muschio che gli ricopre il ventre e la polvere che gli si sedimenta sulle spalle - la parola russa ("zagàr") che ho tradotto con "patina" significa comunemente "abbronzatura"; è il colore della terracotta o del marmo invecchiato.

Le statue sono fragili, la loro vera eternità è dopo il crollo: il poeta è ridotto a un torso, sia pure palpitante di muscoli. Ma nella stessa nicchia, in una simbolica posterità, abiterà un topo - vivo in tanta pietra e deciso a non tornare nel regno dei morti. Sempre in Brodskij gli animali sono meno effimeri degli uomini perché sono meno personali; il cane di Fermata nel deserto continua a pisciare dov'era la vecchia chiesa ortodossa, ora con buone intenzioni sostituita da una sala per concerti. Brodskij ha sempre ostentato il disimpegno ma si è opposto alla politica sovietica non tradendo la parte più vera di sé, che era il "no" e l'amore per la letteratura; il topo potrebbe (seconda metamorfosi) essere lui stesso, che altrove si ritrae mentre "rosicchia un dizionario della lingua materna". Fonte

Ascolta la poesia






Edited by Milea - 4/7/2021, 21:57
 
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Iosif Brodskij:
libero di fronte al potere


Una personalità forte, capace di vera autonomia
più di tanti scrittori suoi compatrioti




brod_ape


Che lo si voglia o meno, Brodskij resta senz' altro il più grande poeta russo della seconda metà del Ventesimo secolo. Se Stalin aveva acclamato Majakovskij come il più grande poeta sovietico, fu proprio grazie alla sua avversione per il potere sovietico, che gli procurò l'esilio in un villaggio dell'estremo nord della Russia, che Brodskij ebbe l'opportunità di diventare un genio. L'intellighenzia liberale degli anni Sessanta lo vide dapprima come un martire, ma approfondendo la conoscenza della sua poesia, ne scoprì poi la forza del talento. "Anche se a malincuore, non si può non riconoscere il suo genio", confessò una volta in una conversazione privata Bella Akhmadulina, uno degli astri poetici dell'epoca del disgelo kruscioviano. A differenza di un'intera pleiade di poeti suoi contemporanei, Iosif Brodskij mostrò un'autentica incondizionata libertà nei confronti del potere, ma anche della cultura internazionale, cantando, come fece Cechov, il dramma esistenziale della vita umana, senza temerne le intrinseche contraddizioni.

brod_poeta

Uno schizzo di Brodskij

Genio prematuramente scomparso- oggi avrebbe avuto settant' anni - ci sollecita a indagare tutti gli aspetti della sua vita e della sua opera. Così scopriamo che affollava i manoscritti dei suoi versi e i suoi taccuini con una moltitudine di brillanti e deliziosi disegni. Una mostra di disegni a penna, allestita a San Pietroburgo nella sede della Biblioteca nazionale, avvicina inevitabilmente Brodskij al più grande maestro della poesia russa, Aleksandr Pushkin. Esaminando i lavori, si ha l'impressione che in entrambi i poeti le rime scaturiscano insieme coi disegni e che disegni e immagini poetiche si combinino e si completino a vicenda. Tuttavia, mentre Pushkin ritrae di preferenza testoline e spalle di incantevoli dame, Brodskij sembra prediligere i gatti, suoi animali diletti, e nei suoi disegni le dame sono assenti. Entrambi si dedicano a tratteggiare il proprio autoritratto: Pushkin di profilo, Brodskij en face. E il volto di Brodskij, simile a quello di un patrizio romano, si distingue per la sua nobiltà. Quanto ai temi politici, nelle pagine dei manoscritti di Pushkin scorgiamo i ritratti di alcuni amici impiccati, eroi del moto decabrista del 1825, mentre in quelle di Brodskij ritroviamo un'autentica caricatura del busto di Lenin. Tali busti ai tempi dell'Unione Sovietica erano disseminati ovunque nei palazzi pubblici.

Brodskij, i cui versi sono indubitabilmente filosofici, ritrae nei suoi disegni minuti dettagli di vita quotidiana: tavoli, stoviglie, suppellettili. Quest' amore per i semplici oggetti della sfera più intima lo distingue radicalmente da un altro poeta, Vladimir Majakovskij, valente caricaturista e appassionato propagandista politico, che ritraeva immagini di capitalisti in cilindro, vittime di trionfanti combattenti rossi pronti a conficcare la punta delle loro baionette nel grasso ventre dei nemici di classe. Persino durante la deportazione, confinato dal potere per un anno e mezzo nella provincia di Archangelsk, Brodskij si appassionò alla scoperta della vita rustica: era giovane, tutto lo incuriosiva e aveva tutta la vita dinanzi a sé. Lo rammento a Mosca, appena tornato dal confino, giovane, bello, la chioma fulva, l'aria un po' altera, mentre attraversavamo in taxi la città notturna, che borbottava sottovoce. Mi voltai a guardarlo. "Non è nulla... - disse - Sto componendo", quasi a giustificarsi, stranamente timido. Ecco che nella fisiologia compositiva, quel suo borbottio notturno, quei disegni sui fogli e nelle raccolte samizdat da lui stesso prodotte, decorati dall'estro della sua fantasia, appaiono come un trampolino nel mondo della sua poesia, che di anno in anno diveniva sempre più matura e raffinata. Della poesia di Brodskij quello che amo di più è il periodo leningradese, al quale si riferiscono anche i disegni dei manoscritti.

Sarà Brodskij stesso a rievocare una volta in America, con una nostalgia insolita per un poeta caduto in disgrazia, quel periodo della sua vita, quando viveva in una stanzetta di dieci metri quadri in una kommunalka e frequentava la grande Anna Achmatova, immergendosi nella scoperta della poesia di lingua inglese e prediligendo fra tutti Auden. Non saprei dire che cosa disegnasse quando vivevaa New York e viaggiava per la sua amata Italia. Forse, ormai non disegnava quasi più. Era diventato importante; il volto da quello di un patrizio si era trasformato in quello di un imperatore della poesia russa. Era stato insignito del Nobel. Per i disegni gli restava sempre meno tempo. Si dedicava alla stesura di ampi saggi e all'insegnamento e quelle occupazioni fagocitavano il suo tempo. Ma ricordando Brodskij, mentre osservo i suoi disegni, non faccio che ripensare al temerario ragazzo dalla testa fulva, che scoprendo dentro di sé il giovane vino della poesia, ne adornava le etichette con le sue ridenti immagini. Fonte


 
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