"Sulla via sempre assolata..." - Rainer Maria Rilke, Parafrasi e commento

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view post Posted on 31/10/2014, 13:09     +3   +1   -1
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"Sulla via sempre assolata..."
Rainer Maria Rilke



da Ultime poesie


An der sonngewohnten Straße, in dem
hohlen halbe Baumstamm, der seit lange
Trog ward, eine Oberfläche Wasser
in sich leis erneuernd, still'ich meinen
Durst: des Wassers Heiterkeit und Herkunft
in mich nehmend durch die Handgelenke.
Trinken schiene mir zu viel, zu deutlich;
aber diese wartende Gebärde
holt mir helles Wasser ins Bewußtsein.

Also, kämst du, braucht ich, mich zu stillen,
nur ein leichtes Anruhn meiner Hände,
sei's an deiner Schulter junge Rundung,
sei es an den Andrang deiner Brüste.

giugno 1924




Libri



Sulla via sempre assolata, nel
mezzo tronco cavo che da tempo
divenne abbeveratoio, e uno specchio d'acqua
in sé rinnova in sordina, sazio la mia
sete: limpidezza e origine dell'acqua
assorbendo in me dai polsi.
Bere parrebbe troppo, troppo esplicito;
ma questo gesto d'attesa
mi porta acqua chiara alla coscienza.

Così, se tu venissi, basterebbe, a saziarmi,
il posarsi leggero delle mie mani
sulla fresca curva della tua spalla,
o dove colmi premono i tuoi seni.




Libri



Immenso narcisismo, enorme talento. Molta filosofia si è fatta intorno alle poesie di Rilke, dai riferimenti alla fenomenologia di Husserl alle pagine che gli dedicò Heidegger; e certo la sua scrittura vi si presta, coi riferimenti a Orfeo, il privilegio dell'invisibile sul visibile e dell'astratto sul concreto, la distanza insuperabile e continuamente evocata tra esistere ed essere. I suoi testi (soprattutto le Elegie Duinesi) reggono le interpretazioni, sia chiaro, ma sottopelle corre il sospetto della sopravvalutazione - di voler cercare coerenza di pensiero dove non ci sia che estetismo ed esagerata ambizione. C'è di che trovarlo antipatico, questo narciso cosmopolita che non ha mai seriamente lavorato in vita sua: lamentoso corrispondente di nobildonne e di artiste, coccolato in castelli non suoi. Peccato che sia un poeta vero e che anche nelle cose minori sappia dimostrarlo vittoriosamente. Per esempio in questo madrigaletto scritto senza impegno per una delle tante ragazze che si mettevano in contatto con lui e che lui rigorosamente teneva a distanza di sicurezza; è cinquantenne ormai, separato dalla moglie, tormentato da malattie apparentemente psicosomatiche che si trasformeranno dopo solo due anni in una leucemia fulminante e mortale. E' un no-grazie gentile, un rifiuto in forma di paragone che si traveste da diagnosi indiscutibile: io sono fatto in questo modo e quindi...

L'accadimento è minimo: una passeggiata intorno al palazzotto svizzero dove viveva, lungo una strada consueta (il neologismo composto "sonngewohnten" può voler dire sia "abitata dal sole" che "abitualmente al sole"). Il contrasto piacevole ai sensi è quello tra la strada assolata e il freddo dell'acqua raccolta nell'abbeveratoio; è l'inizio d'estate, il silenzio è rotto solo dal chioccolare piano dell'acqua nel tronco cavo - acqua limpidissima che dà voglia di bere. Lui sazia la sua sete ma non, come farebbero tanti, avvicinando le labbra: solo immergendo i polsi nello specchio della vasca. Con uno scatto di sensibilità trova che sarebbe smaccato, volgare, bere con la bocca - una troppo esplicita ammissione di desiderio. Soddisfare così direttamente un bisogno porterebbe a non capire tutti i sottintesi di quell'acqua: che è materialmente limpida ma anche serena, allegra ("heiter"); e la sua origine è sì quella geografica (gli acquedotti, i monti) ma anche meteorologica (il circuito perpetuo dal cielo alla terra e viceversa) e intellettuale (l'eterno che presiede all'effimero). Solo la rinuncia e l'attesa acquisiscono alla coscienza un'acqua più pura di quella fisica, un'acqua quintessenziata e spirituale. Dunque, dice alla donna, se tu venissi non ti berrei tutta, mi basterebbe sfiorarti.
Lo dice più per rassicurarsi che per rassicurarla: è una conclusione fintamente ragionativa ma liberatoria (anche il ritmo lo sa, dalla prima strofa franta e piena di enjambements audaci si passa a una quartina prima esitante poi cantabile e simmetrica).

"Compresi", scrive Rilke in un appunto del 1910, "che sarei sempre stato in torto se mi fossi aspettato dalla vita qualcosa di più che di essere sfiorato da lei, lievemente, sul braccio"; e aggiunge il ricordo delle stele sepolcrali dell'antico cimitero di Atene - quei gesti trattenuti tra vivi e morti, gli addii tra cari che "si uniscono piano nel cuore indimostrabile di uno specchio", il "salire di una mano alla spalla senza alcuna volontà di possesso". L'allusione a quelle "mani che poggiando non premono" tornerà nella Seconda Duinese, dove si parla degli amanti che avvicinano le bocche come per bersi l'un l'altro ("bevanda a bevanda") ma poi non consumano il gesto; gli amanti in cui si infiltra qualcosa dell'essenza angelica. La Seconda Duinese è l'elegia degli angeli: angeli che diventano "specchi" perché riattingono nel proprio volto la bellezza piovuta da Dio, proprio come fa l'acqua nel perpetuo giro dell'umidità. In un appunto del 1913 Rilke aveva scritto "l'angelo è ciò che l'acqua è sulla terra e nell'atmosfera: torrente, rugiada, abbeveratoio, fontana d'esistenza dell'anima". Sotto il minuscolo episodio di quel giorno di giugno si stringe un nodo di significati: la donna è acqua e angelo, rinunciare a possederla vuol dire accedere a una conoscenza più pura e a una più pura origine - sotto l'acceso desiderio erotico dei seni, rintracciare l'amore materno ("stillen" è "saziare" ma anche "allattare").

C'è molto Unbewusste, inconscio, dietro quella chiara coscienza; nell'esaltazione rilkiana della donna cova un'oscura misoginia - una pittrice polacca da lui trascurata l'aveva capito scrivendogli "accetto tutto da voi, anche la vostra paura". Paura pura e semplice, dietro tutte le razionalizzazioni; e rispondendo alla pittrice Rilke lo conferma con un'immagine terribile: "l'amore ha avanzato spesso pretese nei miei confronti, come se un frutto ammirato dovesse essere schiacciato dentro l'occhio che lo guardava rapito, come se fosse una bocca". Affermando che Rilke è un poeta vero, affermavo che l'autenticità dei suoi traumi trova nei versi la strada più naturale per rivelarsi, e che soltanto il ritmo delle parole concilia l'inconciliabile (vedi qui il parallelismo tra "Anruhn meiner Hände" e "Andrang deiner Brüste"). Fonte

Ascolta la poesia






Edited by Milea - 4/7/2021, 22:00
 
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Rainer Maria Rilke, genio incompiuto

La fatica del capolavoro


Lo scrittore visto attraverso le sue donne.
E il suo romanzo dalla genesi faticosa




rilke_ape


Una mostra al Castello di Duino del 2008 ha raccontato Rainer Maria Rilke "e i suoi angeli". Un ritratto di Lou Salomé a quarant' anni mostra il viso indurito dal tempo della ex fanciulla bionda che aveva stregato anche Nietzsche. La Duse, la veneziana Romanelli che lo ospitò alle Zattere, la scultrice Clara Westhoff, allieva di Rodin che divenne sua moglie, Marie Thurn und Taxis che lo ospitò a Duino: la biografia del poeta è ricca di figure femminili, di amicizie e di amori. Talvolta amori senza possesso, come ad un certo punto arrivò a teorizzare, per non farsi prendere interamente dall'altra. Ma è difficile arrivare in interiore homine attraverso gli altri (o le altre), dopotutto si tratta di un uomo assediato dalla propria inquietante solitudine, anche se pronto a innamorarsi e certo debitore nei confronti di Lou e di diverse signore. Un uomo in viaggio che conquista la Russia o Parigi o Capri. Studia le lingue, legge dizionari, ma sempre, in fondo, attendendo il momento della creazione che arriva talvolta imperativo. Non scrisse poesie di getto ma in forma già definitiva persino sui margini di un libro di Jacobsen? Per leggerlo aveva studiato il danese e danese volle fosse Malte, suo letterario alter-ego.

rilke_poeta

Lou Salomé

Nel suo rapporto con lo scultore Rodin (cui dedicò una monografia e una conferenza e di cui fu per qualche tempo segretario a Parigi, quando prese l'abitudine di firmarsi René) gli invidia la materia, bronzo o pietra, già così certa e presente, mentre egli si deve accontentare di un esile foglio. Rodin alla sua ansia ribatte che si crea en travaillant, lavorando. C' è poco da aspettare. Rilke cercava però l'essenza delle cose, spingendo la propria analisi sempre più a fondo. Un poeta filosofo? Del filosofo non ha il linguaggio: più che costruire, de-costruisce, scompone, cerca l'immagine che suggella.

La sua opera appartiene innanzitutto solo a lui. "Forse ho torto", dirà a un recensore, "ma non leggo mai qualcosa che tratti della mie opere. Devo essere solo con il mio lavoro e provo così poco il bisogno di sentirne parlare quanto uno desidera vedere stampare e raccogliere i giudizi di altri sulla donna che ama". La critica, che pure ha praticato, è per Rilke una lettera indirizzata al pubblico che l'autore non deve neppure aprire.
Tutto ad un certo punto si concentra e precipita in una ipotesi di romanzo, I quaderni di Malte Laurids Brigge: un capolavoro che gli costò parecchi anni di travaglio e che resta un esempio di scrittura assoluta, dove quel che importa è raggiungere il nocciolo dell'esistere, se è possibile usare un'espressione tanto ambigua.

Con il Malte muore (temporaneamente, poiché risorgerà mille volte) il romanzo ottocentesco di impianto classico e, si può dire, comincia la grande avventura dell'esplorazione novecentesca: quella dei Joyce e dei Beckett e naturalmente dei Proust. Di Proust Rilke è praticamente coetaneo e apprezzerà molto la Recherche: del primo libro, uscito nel ' 13, parlerà con la Thurn und Taxis. Il riapparire di Rilke nella mostra di Duino l'ho dunque coniugato con la lettura del Malte, libro ormai quasi centenario (uscì nel 1910), che fu iniziato a Roma nel 1904.

Un romanzo, vorrei dir subito, che a differenza del ciclo proustiano, si cita molto poco, pur essendo un testo non meno fondamentale. Del resto sono anni cruciali per la letteratura: basti pensare che Rilke divide Praga con Kafka. Malte, un giovane danese, vive a Parigi e scrive. Dalla sua scrittura noi veniamo a sapere molte cose di lui, ma non abbastanza per poter dire in modo ordinato: ecco la sua storia. In realtà noi in qualche modo entriamo dentro di lui e assistiamo al farsi del suo pensiero, al riemergere dei ricordi e, talvolta, a ciò che gli accade. Da praghese che vive a Parigi, l'autore presta a Malte le proprie esperienze e i propri indirizzi. E le proprie segrete ambizioni: Rilke ogni tanto fingeva per la propria famiglia un passato abbastanza illustre, con tanto di proprietà poi perdute.

Malte si ritrova un avo Ciambellano la cui morte è descritta con toni alti e poetici ("la morte di Cristoph Detlev Brigge viveva già da molti giorni a Ulsgaard e parlava a tutti e pretendeva, e mugghiava") ma anche con una certa verve ironica, forse con la memoria della celebre Morte di Ivan Il'ic di Tolstoj, scrittore da lui ammirato e visitato all'epoca del viaggio in Russia. Possiamo dire che il Malte sia un romanzo sulla morte? Certo, ma non più che sull'infanzia, sull'essere bambino ("mi si aprivano gli occhi sull'infinita realtà del mio essere bambino") o sulla malattia, o sulla scrittura o sulla solitudine. E' capace, Rilke, di costruire una sorta di fenomenologia del vicino di casa: "ho avuto dei vicini imprevedibili e di quelli regolarissimi". L'uomo solo cerca di immaginarsi come mai un vicino, di solito puntuale, quella sera non sia rientrato all'ora abituale, annunciato dai consueti rumori.

Si affaccia il ricordo dei vicini avuti a Pietroburgo ed ecco un cammeo gogoliano: un impiegato che conta di vivere ancora cinquant' anni scopre che quel tempo, mutato in ore e poi in minuti e in secondi, diventa un capitale enorme. Si sente ricchissimo, ma presto saprà che i secondi volano via senza tregua. Formano una sorta di vento, di spiffero maligno che lo turba e tormenta. Ci dev' essere una Banca del Tempo, ragiona tra sé, dove riconvertire i secondi in un tempo più solido. Anche nel momento più leggero, Malte insegue temi fondamentali, come appunto quello del Tempo e della sua inafferrabilità. E c' è una certa disponibilità ad accogliere una sorta di reversibilità del tempo. Nel Malte compaiono infatti dei fantasmi, perfettamente autorizzati dalle circostanze.

Si prenda tutto il frammento che riguarda le visite del piccolo Malte, accompagnato dal padre, a Urnekloster. Vi abita la famiglia Brahe: il vecchio capofamiglia è il suocero del padre di Malte, ormai da tempo vedovo. La sala da pranzo dove si aggira un vecchio servitore quasi cieco - cieco al punto che non si accorge se un commensale non c' è e gli offre egualmente il piatto di portata - è perfettamente gotica e tutti sembrano un po' fantasmi.

Ma in più c' è un fantasma vero, quello di Christine Brahe, che attraversa la stanza senza che i commensali reagiscano in modo particolare. Tra i segnali contenuti nel Maltec' è molta cultura alchemica e un cupo disincanto sui progressi della scienza. La morte, ironizza lo scrittore, si spiega ormai con le malattie, al malato non resta che soccombere, neppure la "sua" morte gli appartiene veramente. Rilke è un grande visionario e insieme un grande osservatore. Si prenda quel passaggio in cui descrive un uomo ossesso dal cosiddetto ballo di San Vito. Siamo per la strada e l'uomo è preda del movimento: inciampa (sembra che inciampi) senza nessun motivo per farlo, poi il movimento cresce nel suo corpo che quasi danza impotente a fermarsi. Malte lo osserva, teme quasi di ripetere quei gesti. E' l'incarnazione dell'altro o di un se stesso interiore pieno di fremente agitazione?

Drammatica è la pagina che descrive la visita dei malati alla Salpétrière, uomini preda delle loro angosciose visioni che vengono esaminati, invitati a ridere, a ripetere una parola. L'autore è contemporaneamente dentro e fuori dal personaggio che agisce sulla pagina e il lettore non può non essere "drammaticamente" coinvolto. Rilke, più ancora nel Malte che nelle Duinesi, ha il potere di entrare nel sangue. Forse per questo è meno di moda: leggerlo ha un prezzo. Fonte


 
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