| Rainer Maria Rilke, genio incompiuto
La fatica del capolavoro
Lo scrittore visto attraverso le sue donne. E il suo romanzo dalla genesi faticosa
Una mostra al Castello di Duino del 2008 ha raccontato Rainer Maria Rilke "e i suoi angeli". Un ritratto di Lou Salomé a quarant' anni mostra il viso indurito dal tempo della ex fanciulla bionda che aveva stregato anche Nietzsche. La Duse, la veneziana Romanelli che lo ospitò alle Zattere, la scultrice Clara Westhoff, allieva di Rodin che divenne sua moglie, Marie Thurn und Taxis che lo ospitò a Duino: la biografia del poeta è ricca di figure femminili, di amicizie e di amori. Talvolta amori senza possesso, come ad un certo punto arrivò a teorizzare, per non farsi prendere interamente dall'altra. Ma è difficile arrivare in interiore homine attraverso gli altri (o le altre), dopotutto si tratta di un uomo assediato dalla propria inquietante solitudine, anche se pronto a innamorarsi e certo debitore nei confronti di Lou e di diverse signore. Un uomo in viaggio che conquista la Russia o Parigi o Capri. Studia le lingue, legge dizionari, ma sempre, in fondo, attendendo il momento della creazione che arriva talvolta imperativo. Non scrisse poesie di getto ma in forma già definitiva persino sui margini di un libro di Jacobsen? Per leggerlo aveva studiato il danese e danese volle fosse Malte, suo letterario alter-ego.
Lou Salomé
Nel suo rapporto con lo scultore Rodin (cui dedicò una monografia e una conferenza e di cui fu per qualche tempo segretario a Parigi, quando prese l'abitudine di firmarsi René) gli invidia la materia, bronzo o pietra, già così certa e presente, mentre egli si deve accontentare di un esile foglio. Rodin alla sua ansia ribatte che si crea en travaillant, lavorando. C' è poco da aspettare. Rilke cercava però l'essenza delle cose, spingendo la propria analisi sempre più a fondo. Un poeta filosofo? Del filosofo non ha il linguaggio: più che costruire, de-costruisce, scompone, cerca l'immagine che suggella.
La sua opera appartiene innanzitutto solo a lui. "Forse ho torto", dirà a un recensore, "ma non leggo mai qualcosa che tratti della mie opere. Devo essere solo con il mio lavoro e provo così poco il bisogno di sentirne parlare quanto uno desidera vedere stampare e raccogliere i giudizi di altri sulla donna che ama". La critica, che pure ha praticato, è per Rilke una lettera indirizzata al pubblico che l'autore non deve neppure aprire. Tutto ad un certo punto si concentra e precipita in una ipotesi di romanzo, I quaderni di Malte Laurids Brigge: un capolavoro che gli costò parecchi anni di travaglio e che resta un esempio di scrittura assoluta, dove quel che importa è raggiungere il nocciolo dell'esistere, se è possibile usare un'espressione tanto ambigua.
Con il Malte muore (temporaneamente, poiché risorgerà mille volte) il romanzo ottocentesco di impianto classico e, si può dire, comincia la grande avventura dell'esplorazione novecentesca: quella dei Joyce e dei Beckett e naturalmente dei Proust. Di Proust Rilke è praticamente coetaneo e apprezzerà molto la Recherche: del primo libro, uscito nel ' 13, parlerà con la Thurn und Taxis. Il riapparire di Rilke nella mostra di Duino l'ho dunque coniugato con la lettura del Malte, libro ormai quasi centenario (uscì nel 1910), che fu iniziato a Roma nel 1904.
Un romanzo, vorrei dir subito, che a differenza del ciclo proustiano, si cita molto poco, pur essendo un testo non meno fondamentale. Del resto sono anni cruciali per la letteratura: basti pensare che Rilke divide Praga con Kafka. Malte, un giovane danese, vive a Parigi e scrive. Dalla sua scrittura noi veniamo a sapere molte cose di lui, ma non abbastanza per poter dire in modo ordinato: ecco la sua storia. In realtà noi in qualche modo entriamo dentro di lui e assistiamo al farsi del suo pensiero, al riemergere dei ricordi e, talvolta, a ciò che gli accade. Da praghese che vive a Parigi, l'autore presta a Malte le proprie esperienze e i propri indirizzi. E le proprie segrete ambizioni: Rilke ogni tanto fingeva per la propria famiglia un passato abbastanza illustre, con tanto di proprietà poi perdute.
Malte si ritrova un avo Ciambellano la cui morte è descritta con toni alti e poetici ("la morte di Cristoph Detlev Brigge viveva già da molti giorni a Ulsgaard e parlava a tutti e pretendeva, e mugghiava") ma anche con una certa verve ironica, forse con la memoria della celebre Morte di Ivan Il'ic di Tolstoj, scrittore da lui ammirato e visitato all'epoca del viaggio in Russia. Possiamo dire che il Malte sia un romanzo sulla morte? Certo, ma non più che sull'infanzia, sull'essere bambino ("mi si aprivano gli occhi sull'infinita realtà del mio essere bambino") o sulla malattia, o sulla scrittura o sulla solitudine. E' capace, Rilke, di costruire una sorta di fenomenologia del vicino di casa: "ho avuto dei vicini imprevedibili e di quelli regolarissimi". L'uomo solo cerca di immaginarsi come mai un vicino, di solito puntuale, quella sera non sia rientrato all'ora abituale, annunciato dai consueti rumori.
Si affaccia il ricordo dei vicini avuti a Pietroburgo ed ecco un cammeo gogoliano: un impiegato che conta di vivere ancora cinquant' anni scopre che quel tempo, mutato in ore e poi in minuti e in secondi, diventa un capitale enorme. Si sente ricchissimo, ma presto saprà che i secondi volano via senza tregua. Formano una sorta di vento, di spiffero maligno che lo turba e tormenta. Ci dev' essere una Banca del Tempo, ragiona tra sé, dove riconvertire i secondi in un tempo più solido. Anche nel momento più leggero, Malte insegue temi fondamentali, come appunto quello del Tempo e della sua inafferrabilità. E c' è una certa disponibilità ad accogliere una sorta di reversibilità del tempo. Nel Malte compaiono infatti dei fantasmi, perfettamente autorizzati dalle circostanze.
Si prenda tutto il frammento che riguarda le visite del piccolo Malte, accompagnato dal padre, a Urnekloster. Vi abita la famiglia Brahe: il vecchio capofamiglia è il suocero del padre di Malte, ormai da tempo vedovo. La sala da pranzo dove si aggira un vecchio servitore quasi cieco - cieco al punto che non si accorge se un commensale non c' è e gli offre egualmente il piatto di portata - è perfettamente gotica e tutti sembrano un po' fantasmi.
Ma in più c' è un fantasma vero, quello di Christine Brahe, che attraversa la stanza senza che i commensali reagiscano in modo particolare. Tra i segnali contenuti nel Maltec' è molta cultura alchemica e un cupo disincanto sui progressi della scienza. La morte, ironizza lo scrittore, si spiega ormai con le malattie, al malato non resta che soccombere, neppure la "sua" morte gli appartiene veramente. Rilke è un grande visionario e insieme un grande osservatore. Si prenda quel passaggio in cui descrive un uomo ossesso dal cosiddetto ballo di San Vito. Siamo per la strada e l'uomo è preda del movimento: inciampa (sembra che inciampi) senza nessun motivo per farlo, poi il movimento cresce nel suo corpo che quasi danza impotente a fermarsi. Malte lo osserva, teme quasi di ripetere quei gesti. E' l'incarnazione dell'altro o di un se stesso interiore pieno di fremente agitazione?
Drammatica è la pagina che descrive la visita dei malati alla Salpétrière, uomini preda delle loro angosciose visioni che vengono esaminati, invitati a ridere, a ripetere una parola. L'autore è contemporaneamente dentro e fuori dal personaggio che agisce sulla pagina e il lettore non può non essere "drammaticamente" coinvolto. Rilke, più ancora nel Malte che nelle Duinesi, ha il potere di entrare nel sangue. Forse per questo è meno di moda: leggerlo ha un prezzo. Fonte
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