“Nel fresco orinatoio…” - Sandro Penna, Parafrasi e commento

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view post Posted on 24/10/2014, 08:30     +3   +1   -1
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Sono così tanti a zoppicare che chi cammina dritto, pare in difetto!

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“Nel fresco orinatoio…”
Sandro Penna


da Poesie, Garzanti 2000



1.

Nel fresco orinatoio alla stazione
sono disceso dalla collina ardente.
Sulla mia pelle polvere e sudore
m'inebbriano. Negli occhi ancora canta
il sole. Anima e corpo ora abbandono
fra la lucida bianca porcellana.

1929


2.

E' il nobile sesso. E poi, di questo,
sola un'età (nobile sì, ma fresco !).
Di questa solo alcuni rari esemplari.
E infine, e poi... di te, ma tanto tanto
una sola immagine mi è cara.

1938-1949


3.

Veloce va l'atleta adolescente
entro il meriggio placido e lento.
Ma lo abbraccia il crepuscolo, e ne spicca
adesso la sua ferma ombra in Atene.
Se si riveste, noi assistiamo all'epoca
dei calzoncini.

1938-1949


4.

E' l'ora in cui si baciano i marmocchi
assonnati sui caldi ginocchi.
Ma io, per lunghe strade, coi miei occhi
inutilmente. Io, mostro da niente.

1949-1955




Libri




La parola scandalosa. “ORINATOIO ”: parola scandalosa da scrivere in versi nel 1929 (a meno che non fosse nel registro comico-lazzaronesco del più basso avanspettacolo). Lo stesso Montale, amico e intellettuale non retrogrado, ritenne questa poesia impubblicabile — qui il termine è impiegato con arresa serietà, se non forse con un briciolo d’orgoglio (“amici miei gli orinatoi…”, dice in un altro testo). La stazione è quella di Recanati dove Penna è andato in gita con un amico: nel secondo verso la “collina ardente” sostituisce un più allusivo (e provocatoriamente leopardiano) “colle rovente” della prima redazione. La polvere e il sudore sulla pelle non sono soltanto suoi, le imprese compiute al sole ancora gli cantano negli occhi - ma lì, in quel piccolo santuario che è l’orinatoio, può essere finalmente libero (anima e corpo) di ricordare e fantasticare - rivivendo il desiderio in solitudine.

I melodici endecasillabi del primo e ultimo verso chiudono in una bolla intangibile l’esperienza, che non si può dettagliare perché appartiene a una sfera superiore. Il realismo di “orinatoio” è il realismo dei mistici, che non badano alle cautele del mondo quando nominano gli attrezzi terreni necessari all’estasi. Alla fine della prima redazione c’erano due versi in più, che Penna ha espunto con precoce orecchio: “solo così nel delizioso carcere / sento vivere in me calda la vita”. Impoetica pesantezza ragionativa, ma anche spietata autocoscienza che per lui la felicità è una prigione.

L’ingenuità di Penna è la reazione a un trauma: l’amore che lega e impegna lo ha conosciuto, prima con la madre andata via di casa quando lui aveva 14 anni, poi con un ragazzo ebreo di cui sentiva di non poter fare a meno - si è spaventato della dipendenza e ha preferito rinunciare (“non ammettevo le relazioni”, confesserà da vecchio). Guardiamo alla progressione di selettività che presiede al secondo testo: prima un’affermazione misogina, il sesso maschile come sesso “nobile”; poi il primato (gidiano e greco) della pederastia sull’omosessualità; poi il privilegio della bellezza, pochi esemplari della specie. E poi, del ragazzo amato, una sola immagine: quel che si salta è la persona del ragazzo - col suo carattere e i suoi inevitabili limiti. Solo la crema delle sensazioni, il meglio del meglio: come non leggere la disperazione dietro una tale vanteria? Contrariamente al solito, di Penna non commento un testo ma quattro; in lui la serialità è forse l’essenziale, i ragazzini come le bottiglie per Morandi. Intercambiabili perché ridotti, appunto, a sola icona.

Un profilo, un particolare del corpo, un gesto o un’unica parola; non consigliavano, i mistici, di concentrare le facoltà su un solo oggetto per pervenire all’apatia? Nel terzo testo ecco un adolescente, uno dei tanti, apparire e vivere per un attimo: loro sono il movimento, la naturalezza animale (cioè angelica), l’infrazione alle stupide leggi adulte. Irrompe nella lentezza del pomeriggio e la contrasta, ma il sopravveniente crepuscolo lo abbraccia come Penna vorrebbe fare; ora l’adolescente è immobile come una statua olimpica, scolpito nell’intemporalità. Ma la grecità (come nei disegni di De Pisis) fa presto a modernizzarsi, appena sul corpo nudo infila i calzoncini: più eccitanti del nudo perché lo avvicinano e lo rendono abbordabile. Eppure, con quell’ultimo quinario che conclude la serie di endecasillabi come se fosse un classico adonio, l’”epoca” dei calzoncini è già un tempo mitico.

Nelle poesie di Penna tutto è rigorosamente fisico, non c’è nemmeno un simbolo, eppure tutto parla di un mondo che non è il nostro. Si appoggia a una lingua poetica media, un po’ congelata e consunta, facilissima; a una metrica tradizionale impreziosita da sprezzature e licenze apparentemente sciatte ma studiatissime, ipermetri e iati, assonanze e quasi-rime. La sua audacia tematica è compensata dalla castità stilistica, da un sapore ormai nostalgico di “vecchio Novecento”; Penna rischia di diventare un poeta chic per mezzecalze culturali. Bisogna ritornare alla violenza delle sue contraddizioni, alla follia di quel suo contrapporre continuamente l’onnipotenza della gioia e la disappartenenza al genere umano. Come un sasso, una bestia, uno che non c’entra niente con una civiltà fondata sulla repressione (provò la psicanalisi ma fu un pessimo paziente).

“Io, mostro da niente” si definisce nel quarto testo (quello più della vecchiaia), facendosi paura da solo. Fa rima con “inutilmente”. È inutile guardare la vita da fuori: la solitudine è un bellissimo posto per spiare ma così il solo amore possibile è quello non ricambiato, la sola postura è quella del ladro o del mendicante. Ci vuole un coraggio mostruoso per accettarlo. I primi tre versi a rima baciata sono la ninnananna da cui si è esclusi. Penna ha dato alla poesia italiana, diceva Saba, “i tanto attesi canti della maternità”; ma non è vero. In lui c’è piuttosto la vergogna della maternità assente, e di doverla surrogare con pratiche trionfalmente infamanti. Escluso dal calore torrido del desiderio come da quello temperato della famiglia, l’unico calore possibile è alla fine quello onanistico dei suoi versi; la sua stessa grazia diventa il suo alibi. Fonte


Ascolta la poesia






Edited by Milea - 4/7/2021, 22:00
 
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Sandro Penna
e l'amicizia perduta con Montale



Due poeti diversi, un legame che si spezza:
una vicenda che svela le personalità di entrambi




penna_ape


Il Montale delle Occasioni - le Occasioni sono la seconda raccolta del poeta ligure, pubblicata nel 1939 - è un Montale "che ha la pretesa di fare chissà che: Verso Vienna (il ridicolo) o cose brevi e ridicole e in più povere". Scritte con calligrafia nervosa su una pagina bianca di quella stessa raccolta (Verso Vienna è il titolo di una poesia che lì compare), le parole di Sandro Penna sono il suggello smozzicato e un po' spietato di un'amicizia che si è chiusa e, con l'amicizia, del rapporto intellettuale troncato fra un poeta già affermato e a suo agio con riviste ed editori e un altro più acerbo e che il primo aiuta a inerpicarsi sulla scena letteraria. Il sodalizio fra Montale e Penna, come quello fra Saba e Penna, è intricato. Si colloca negli anni in cui sboccia una stagione poetica, di cui segna in buona parte il destino, definendo due poli differenti, persino opposti, di scrivere versi, due poli che pure si muovono da una matrice in larga misura analoga (Penna e Montale, scrive Cesare Garboli, sono "simili a due costellazioni che si fronteggiano", affetti da "gemellarità litigiosa").

penna_poeta

Quell'appunto acido di Penna nei confronti del suo mentore emerge ora dalle carte del poeta perugino. Nella sua disordinata biblioteca in via della Mola dei Fiorentini, a due passi da Via Giulia a Roma, era infatti conservata un'edizione delle Occasioni nella quale compaiono due paginette di annotazioni manoscritte. Sono osservazioni che Penna verga d' istinto, con inchiostro blu, nient' affatto sistematiche e di carattere prevalentemente stilistico. Ma che, epilogo di una vicenda iniziata anni prima, sono un capitolo di storia della poesia italiana del Novecento. Quelle osservazioni le pubblica Roberto Deidier, poeta e professore di Letteratura moderna e contemporanea a Palermo, nel volume Le parole nascoste. Le carte ritrovate di Sandro Penna (Sellerio, pagg. 212, euro 16). Secondo Deidier, che in passato ha curato anche il carteggio fra Saba e Penna, quando scrive le note su Montale, il poeta di Una strana gioia di vivere "si sente escluso da quel circuito affettivo" che negli anni precedenti "lo aveva coinvolto appieno, come testimone vicino e lettore, nella genesi dell'opera" montaliana. L'edizione delle Occasioni che lui possiede è del 1942, di tre anni successiva all'uscita della raccolta. Non reca alcuna dedica: nessuno, tantomeno Montale, gliene ha fatto avere una copia. Prima di quella su Verso Vienna, un'altra annotazione colpisce in genere le invenzioni poetiche di Montale definite "il giochetto".

Penna diventa sprezzante di fronte ad altre figure tipiche del poeta ligure, chiosando con un "ma bravo qui" il "topo" che compare in Barche sulla Marna oppure "la cappelliera" di A Liuba che parte. Poche parole fulminanti, brevi frasi il più delle volte lasciate in sospeso investono il modo di far poesia del Montale di quegli anni: "Forse è davvero poco ciò che, fuor dai Mottetti, si salva nelle Occasioni", scrive Deidier.

Eppure la nota più incalzante di Penna tocca proprio i versi dei Mottetti, una delle sezioni delle Occasioni: "La sigla finale: d' effetto ma troppo forte, barocco, disgustoso, o letterario e comune (E il tempo passa)". ("E il tempo passa" è la chiusa di una poesia dei Mottetti). L'ultima chiosa di Penna, nonostante resti sospesa, sembra la più argomentata e tuttavia non arriva alla compiutezza di un giudizio critico motivato: "Quello che salverei è la forza descrittiva quando per miracolo si salva dal cattivo gusto - è fine a se stessa e serve il gioco puro, elegante: la farfalla di Vecchi Versi, il gasista, la stanza dell'Amiata, Pico Farnese,". La frase si chiude con una virgola, che forse annuncia un approfondimento, rimasto però inespresso. Montale e Penna si erano conosciuti nel 1932, avevano dieci anni di differenza - del 1896 il primo, del 1906 il secondo. Fra loro si era avviata una corrispondenza e Montale si era incaricato di aiutare Penna a pubblicare i suoi versi (il carteggio fra i due è stato pubblicato da Elio Pecora). Lo scambio è fitto, intenso. Ma in una lettera del 1935 Montale fa balenare il sospetto che alcuni testi di Penna non sarebbero stati accettati dalla censura fascista.

Troppo esplicito, a suo avviso, l'erotismo. Il progetto di pubblicazione si arena e fra i due poeti il rapporto si incrina. Di queste vicende ha scritto Cesare Garboli in un piccolo volume del 1996, Penna, Montale e il desiderio (Mondadori). Secondo Garboli, "Montale aveva visto in Penna quello che gli sembrava, o gli era, negato: i sensi, il desiderio, le poesie afrodisiache capaci di fare limpido e semplice tutto ciò che è più impuro e oscuro. Poi erano trascorsi degli anni, il tempo necessario perché si formassero dei dubbi e maturasse un'altra convinzione; che i sensi sempre accesi di Penna erano una bella favola, fantasmi di gioia improbabile, sintomi di patologia risaputa e puerile, ricordi di un passato inventato. Il tempo della seduzione è finito. Penna era diventato un pensiero noioso". Montale ha letto i versi di Penna destinati alla pubblicazione e restati invece fermi sulla sua scrivania. Li ha letti, aggiunge Garboli, e li ha mescolati nella sua memoria letteraria, servendosene nei Mottetti. In particolare per due di essi, Lontano, ero con te quando tuo padre e Al primo chiaro, quando, due poesie alla cui data Montale affianca un punto interrogativo. Forse, aggiunge Garboli, per farli apparire di epoca più antica e dunque non influenzati dalla lettura di Penna. La storia dell'amicizia continua anche oltre la sua interruzione, oltre l'uscita delle Occasioni e di Poesie, la raccolta d' esordio di Penna, che vede la luce contemporanemanete a quella montaliana.

Garboli ne ha ricostruito il groviglio. Penna riconosce nei Mottetti qualcosa di suo, talmente mescolato "da non farglielo appartenere più". In privato accusa Montale di non aver pubblicato i versi che gli aveva dato per motivi bassi: voleva farli uscire dopo i Mottetti. E non sarebbe dunque un caso che le annotazioni di Penna sulle pagine delle Occasioni non coinvolgano i Mottetti, se non parzialmente. Pochi mesi dopo l'uscita del volume di Garboli, Domenico Scarpa, recensendo il libro, aggiunge un altro capitolo alla detective story.

E Penna non avrà preso qualcosa anche lui da Montale? In almeno una occasione, secondo Scarpa, il prestito è evidente (da uno dei Mottetti in direzione di una poesia della raccolta Peccato di gola di Penna). E sarà il solo? Scarpa ricostruisce un altro tassello di questo tortuoso mosaico. Siamo negli anni Settanta. Preparando un volume per festeggiare gli ottant' anni di Montale, qualcuno coinvolge anche Penna. Il quale rimette insieme dieci versi divisi in due strofe risalenti a vent' anni prima e già pubblicati. è un poeta ingrigito e triste quello che scrive: "La festa verso l'imbrunire vado / in direzione opposta della folla / che allegra e svelta sorte dallo stadio". I volti radiosi di chi ha partecipato a un trionfo e ai quali guarda dolente un anziano signore che cammina in senso contrario, non nascondono, si domanda Scarpa, "quei critici e poeti che hanno appena finito di rendere omaggio (la festa) al decano Montale?".

Ciascuno offre il proprio omaggio, Penna, scrive Scarpa, rievoca "la libbra di carne viva che Montale gli ha strappato per nutrirsene dopo averla cucinata secondo la sua ricetta". Le cose possono essere andate così, ma potrebbero anche essere lette diversamente. La poesia è il territorio delle ambivalenze. E i poeti, scriveva Garboli, sono più in quello che danno che in quello che prendono. Ma nella poesia scritta vent' anni prima e senza alcun riferimento montaliano, Penna potrebbe aver letto la propria sorte di poeta "depredato nella e della poesia", ramingo e solitario, che lascia all'ex amico un messaggio che solo lui, in quel momento di gloria, può leggere nel modo giusto, sentendosi ferito. Fonte




Edited by Milea - 24/10/2014, 09:37
 
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