Giovanni Boldini, il pittore della Belle Époque, La biografia e le opere dell'artista

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Giovanni Boldini, il pittore della Belle Époque




Portrait of Princess Marthe-Lucile Bibesco (1911), Private Collection


Era proprio un brutto anatroccolo: le gambe troppo corte, il torso troppo massiccio, la testa troppo grossa. Nessuno avrebbe potuto prevedere, osservando il piccoletto “Zanin” Boldini che, pochi lustri dopo, sarebbe divenuto il grande Jean Boldinì, uno dei mostri sacri della Parigi di fine secolo e che nel suo vasto impero sarebbero sfilate le più affascinanti donne di quella che doveva essere definita la “Belle Epoque”.

Giovanni_Boldini_1892

Nato a Ferrara il 31 dicembre 1842, ottavo figlio di Antonio – buon restauratore e rifacitore dell’antico- che doveva poi averne altri cinque, Giovanni Giusto Filippo Maria Boldini non fu accolto con particolare entusiasmo o cerimonie o attenzioni. Era un figlio in più, un figlio capitato dopo tanti altri e prima di tanti altri, ma con una personale caratteristica: era diverso, molto diverso da tutti gli altri: E lo si vide prestissimo.

A cinque anni s’era già scoperta una fetta di mondo tutto suo nella casa paterna, un rifugio piccolissimo ma segreto ove ammassava matite, polveri colorate, qualche pennellino pazientemente raccolti nel disordine dello studio di restauro, e là in quel nascondiglio disegnava, “affrescava” tutti gli spazi alla portata delle sua piccola mano tozza e paffuta (e che tale rimase per tutta la vita), una mano dalla quale sembra impossibile siano usciti i disegni più aerei, più frizzanti, più indiavolati, più sofisticati del mondo.

Ma il genio e le ali sono due cose difficilissime da nascondere. Proprio come nella fiaba, l’anatroccolo cominciò a trasformarsi in cigno. A dieci anni era ancora troppo piccolo per la sua età, ma si era fatto un comportamento “autorevole” e un po’ imperioso, camminava dritto per guadagnare qualche centimetro, aveva una larga fronte incorniciata da riccioli biondi, la bocca carnosa e sorridente (quando sorrideva), gli occhi azzurri luminosi spesso teneri, più spesso d’acciaio.

E i piedi: i piedi piccoli e slanciati di cui andò sempre orgoglioso e che sempre calzò con raffinatezza. Tutto tradiva in lui l’artista precoce, personale nel modo di osservare, giudicare e tradurre subito non importa dove e con quale mezzo – gesso, matita, frammento di mattone- instancabile, irrefrenabile.
Perciò, anche se il rifugio, il “granaio”, come lo chiamava, era rimasto miracolosamente segreto, il padre non potè fare a meno di constatare le tendenze di quel suo bizzarro Zanin.

Aperta la porta del “rifugio segreto””Quel ragazzo sembrava proprio uscito da un’altra covata”, confidava a un amico. “E’ ancora un bambino e già ragiona come un uomo, un artista. Un giorno gli ho chiesto perchè fra tutti e suoi fratelli e sorelle prediligesse Beatrice, Perchè è la più bella, mi ha risposto, e ha già i modi di una signora. Figurati! Vuole fare il pittore! Ma finch’io vivo nessuno dei miei ragazzi seguirà quel mestiere. Mica voglio che crepino di fame come me”.

Un giorno Zanin, tornando da scuola, ha la spiacevole sorpresa di vedere, in cima alle scale, spalancata la porta del suo “rifugio segreto”. Si precipita per protestare, constata i segni della violazione, ridiscende furibondo e... vede nel salotto comune il padre, piuttosto commesso, che mostra a uno sconosciuto un minuscolo quadretto: ”Guardi, guardi... dipinto da un ragazzo di dodici anni!”.
Il ragazzo si avvicina timoroso di un castigo, ma il vecchio restauratore e copiatore deluso lo accarezza e dice con una punta di orgoglio:” Ecco qua il mio Zanin, bisogna pure che faccia il pittore, visto che ne sa più di me...”. (M.@rt)



Edited by Milea - 4/8/2021, 10:10
 
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Self-portrait while looking at a painting (1865 )
oil on canvas, 22.5 x 32 cm
Firenze, Galleria d'Arte Moderna in Palazzo Pitti




Il suo destino era deciso. Lo studio paterno per quanto riguarda la tecnica, l'ambiente della stupenda Ferrara, ricca di opere d'arte, così carica di suggestioni e insegnamenti, offrivano al giovane tutti gli incanti e le possibilità: poteva ormai lavorare a viso scoperto, freneticamente com'era suo costume, e per riposarsi si buttava nel mondo della musica, che lo attraeva quasi quanto quello della pittura e nel mondo dell'amore, con innamoramenti per ragazze che riusciva a incantare con il suo spirito e il naturale ardire.

Già sin da allora tutto ciò che la matita di Boldini toccava si trasformava in vita e in denaro.
Piovvero da amici giovani e meno giovani le commissioni per quei ritrattini così spiritosi e somiglianti, “con quel qualcosa in più”, c'egli sapeva eseguire con rapidissimo magistero.
Boldini, ormai giovane uomo, sapeva lucidamente quello che voleva: dipingere ed evadere. Il mirabile ambiente di quella città del silenzio non bastava più, lo limitava, lo soffocava, gli aveva già dato tutto ciò che gli poteva dare.

Invece Firenze...Un mondo nuovo, una città in pieno fermento, i “Macchiaioli” che si battevano clamorosamente contro l'accademia fatiscente, che “davano scandalo”, che attiravano disprezzo ed entusiasmo, come di lì a qualche anno avrebbero fatto gli “Impressionisti” a Parigi.
Giovanni coi suoi ritrattini e altri lavori aveva già messo da parte una piccola somma, ma un vero colpo di fortuna (ne contò parecchi in vita sua) affrettò gli eventi: uno zio canonico morendo gli destina duemila lire. Commosso (ma non troppo) poichè si trattava di lasciare non solo la casa e il luogo natìo, ma anche la ragazza, il ventenne Boldini, più certo che mai delle proprie capacità artistiche e più fiducioso, anche, dopo i primi successi sentimentali, del proprio aspetto fisico ( i primi guadagni gli avevano consentito le prime escursioni nel dominio del “dandysmo) prende il treno per Firenze.



Portrait of Alaide Banti in White Dress (1866)
oil on canvas , 42 x 23 cm



All'Accademia si annoiava molto. Doveva trattarsi di un viaggio di ricerca, di orientamento: fu invece una tappa importante per la sua vita di pittore.
Boldini si buttò subito allo studio, ma, come era prevedibile, l'Accademia lo annoiò ben presto. Molto più lo interessavano il Caffè Michelangelo e i Macchiaoli che vi tenevano allegre e tumultuose sedute. Si legò in modo particolare con Banti e Gordigiani, ma fu accolto festosamente anche da tutti gli altri: Signorini, Fattori, Borrani, Cabianca, Abbati. Ottimi artisti tutti, compresero subito che quel tipo curioso era uno di loro, e dei migliori e dei più dotati.
Il ferrarese si divertiva al Caffè Michelangelo: gli altri gridavano, proclamavano, discutevano, demolivano; lui disegnava, caricaturava (ferocemente), interrompendosi solo di tratto in tratto per rispondere, in modo fulminante, a qualche domanda maliziosa e provocatoria.

Sarebbe bello indugiare un poco con Boldini nella meravigliosa Firenze di allora, ma questa non vuole né può essere una biografia, è solo una seri di flaches sui maggiori episodi di una vita straordinaria.
Che cosa gli portò il soggiorno sulle rive dell'Arno, interrotto naturalmente nella sua Ferrara piena di ricordi, a Napoli, a Palermo, a Montecarlo, solo o in compagnia di amici?
Anzitutto lo “sprovincializzò” (Firenze, dicono, era una città di provincia, ma una provincia abitata da talenti) completando il suo innato senso di sicurezza, raffinando il suo gesto istintivo, quella sete per le cose desiderabili, i gioielli, le stoffe preziose, le vetture accoglienti, i cavalli e le donne.

Comprese una volta per sempre che quelle sue manine paffute, ostinatamente infantili, potevano, impugnando un pennello o una matita, spalancargli le porte dei più impensati paradisi. Poi, la quotidiana frequentazione di pittori come Fattori e Lega, il contatto di personaggi che univano l'arte della cultura - come Banti, Signorini, come il critico Diego Martelli e lo scultore Adriano Cecioni -gli aprivano gli occhi su problemi e su possibilità di un'arte ansiosa di rinnovarsi. Come si è visto, Boldini discuteva poco e lavorava molto, ma nulla gli sfuggiva e in quel miracoloso computer che era il suo cervello ammassava dati e impressioni che sarebbero tornati, folgoranti, anni e anni dopo.
Comunque a Firenze avvenne la prima incarnazione di Boldini, il Boldini macchiaiolo. A parte i lavori di routine accettati e svolti, con l'amico Gordigiani, per necessità pratiche, Giovanni portò a termine un gruppo di opere per lo più di piccole dimensioni, come quasi sempre nelle sue “Prime maniere”, ma di buon contenuto pittorico. (M.@rt)




The Great Road in the Villas Combes (1873)






Edited by Milea - 4/8/2021, 10:13
 
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Diego Martelli (1865 )



Al pari di tutti i geni Boldini era nato con una personalità già definita e prepotente, ma capace di captare con fulmineità e suggellare a modo proprio tutto ciò che gli era, appunto, congeniale. Detestava le teorie, le chiacchiere su pittura e non pittura, ma le possibilità che la “macchia”, i colori puri, le impaginazioni immediate e non accademiche offrivano all'artista non lo lasciavano indifferente.

Nacque così una piccola serie di capolavori costituita dai ritratti dei suoi compagni d'arte. I ritrattini di Giovanni Fattori, di Beppe Abbati, di Luigi Becchi, di Diego Martelli sono ormai classici e hanno sbalordito coloro che conoscevano solo il Boldini parigino, il Boldini sciabolante e irriverente dei grandi ritratti femminili. Intuizione psicologica, libertà di fattura unita come sempre a prodigi di tecnica, fanno di queste tavolette alte due palmi, una specie di somma di ciò che la Toscana poteva spremere da Boldini.

Vanno pure ricordate le numerose piccole impressioni della campagna toscana, così nervose, così vere, così macchiaiole eppure così irrimediabilmente impresse di quell'eleganza ( eleganza intima, profonda, non voluta, forse sofferta) che sin dai primi saggi apparve come la sigla dell'artista.

Non che Boldini non sapesse affrontare fin d'allora, con la più schietta naturalezza, le grandi superfici. Ospite di una famiglia inglese, i Falconer, nella loro villa presso Pistoia, “La Falconiera”, egli, per lasciare un ricordo di sè, affrescò le pareti della sala da pranzo con le scene e le visioni campestri che si potevano gustare dalle finestre della limpida villa toscana.



Place Clichy (1874 )



Giunse a Parigi al momento giusto. Dunque Boldini lavorava, amava, conosceva le gioie dell'amicizia e del successo. Ma qualcosa lo rodeva dentro, una voce da sempre gli sussurrava: Parigi! E' una voce che ha parlato a molti pittori e disegnatori italiani, richiamo quasi sempre accolto favorevolmente. Naturalmente Boldini, col suo carattere deciso, non poteva resistere molto. Fece armi e bagagli, lasciò lavori interrotti, cuori infranti, guadagni sicuri e partì.
Giunse a Parigi in un momento eccezionale: l'impero di Napoleone III sembrava superbo e inattaccabile, la grande Esposizione del 1867 era stata la dimostrazione della straordinaria fioritura della ricchissima Francia e delle sue colonie.

Piccolo, così piccolo e sperduto in quell'immensa metropoli ove quasi nessuno lo conosceva, l'italianino ebbe un momento come di vertigine. Ma durò poco: lui era Boldini. Lui assomigliava (ne era convintissimo e spesso amava assumerne gli atteggiamenti) a Napoleone.
Certo dall'alto della collina di Montmartre, allora tutta verde, deve avere esclamato, come il balzachiano Rastignac:”Paris, à nous deux!”. Ecco, quell'immensa distesa di comignoli era ai suoi piedi.
Boldini, che in quei brevi giorni aveva visitato tutti i musei, visto un mucchio di cose nuove, conosciuto Degas, Manet, Sisley, ma soprattutto aveva respirato l'aria di Parigi, si era perduto tra quella folla irrequieta, aveva vagabondato tra le casupole di Montmartre e i palazzi di Rue de la Paix, tornò a Firenze inquieto, impaziente, pronto alle più spericolate avventure. Non ce la faceva più. (M.@rt)




The Conversation (1870)









Edited by Milea - 4/8/2021, 10:26
 
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Crossing the Street (1875 )
oil on canvas, 45.7 x 37.5 cm
Sterling and Francine Clark Art Institute at Williamstown, MA, USA



Vegliava su di lui una buona stella . Non sognava che di Parigi, delle sue battaglie artistiche, dei suoi teatri, dei suoi caffè, dei suoi “Salons” affollati di splendide donne... Che fare? Ancora una volta la buona stella che vegliava su di lui lo toglie da quello stato di turbamento.

Un ricco inglese, Sir William Cornwallis West, mecenate e pittore lui stesso, conosciuto dall'amico Gordigiani, s'incapriccia di quell'ometto scontroso, lo invita con insistenza a Londra e per facilitargli le cose, mette a sua disposizione il proprio atelier in un palazzo di Hyde Park, frequentato da tuttala Londra “che contava”.
Presentato in modo così perentorio, le prime commissioni gli arrivarono subito. Boldini eseguiva ritratti di piccole dimensioni, di una tecnica e di un'eleganza sobria, molto inglese e pure personalissima.
E di una somiglianza indiscutibile, ravvivata dal fascino di una fresca pittura. Aveva visto e meditato I grandi ritrattisti inglesi del XVIII secolo, ma, se ne aveva tratto qualche piccolo suggerimento, era rimasto Boldini e solo Boldini.

Si fece subito pagare quaranta sterline ogni dipinto, somma enorme allora, per un giovane pittore: ma quando ebbe eseguito il ritratto di Lady Bechis, arbitra indiscussa di tutte le eleganze, sovrana dolcemente dispotica di tutti i salotti del West-end, nessun compenso parve più eccessivo pur di ottenere la propria immagine dipinta da quel little, wonderful Mister Boldini , e il nostro dandy potè finalmente farsi vestire dai più illustri sarti di Savine Road e calzare dal fornitore stesso del Principe di Galles.
Tutto bene dunque, ma, come ebbe a dire lo stesso Boldini, “on ne peut pas vivre longtemps loin des trottoirs de Paris”.

Era una cosa indubbiamente lusinghiera, imprevista e proficua essere divenuto in così breve tempo il pittore prediletto e conteso della buona società londinese.
Però sedersi sulla terrazza di una brasserie a Montmartre, veder sfilare quel mondo cangiante, vitale, seguire la linea e il ritmo di quelle gambe snelle. Nervose, “intelligenti” che le belle dame come le indemoniate midinettes lasciavano intravedere sotto le lunghe leggere sottane, quasi ancora crinoline, e poter disegnare in un'ora mille cose diverse e impreviste...altro che l'atelier di Hyde Park.




Newspaperman in Paris (The newspaper) (1874 )



Parigi si stava riprendendo dal tragico abisso in cui l'aveva gettata la sconfitta del 1870 a Sedan, col frenetico entusiasmo di una giovinetta che esce indenne da una malattia mortale.
Come resistere a un simile richiamo? Decisione napoleonica ancora una volta: senza neppure portare a termine il ritratto iniziato di una dolce miss, senza avvertire nessuno il trentenne Boldini, in piena forma, parte alla conquista della città dei suoi sogni. Vi trovò una primavera meravigliosa; tutto sorrideva (o così gli parve), tutto proclamava la joie de vivre, anzi di rivivere dopo gli anni tremendi.

Si stabilì a Montmartre; in Avenue Frochot. Parigi -era fatale, era previsto- gli aperse subito le braccia, anzitutto quelle dei mercanti. Gli bastò mostrare al più celebre e facoltoso negoziante del momento, il Goupil, una sola tavoletta (una delicata immagine d'inglesina) che aveva portato con sè, perchè quell'astuto commerciante gliela acquistasse a ottime condizioni e gli chiedesse insistentemente altri dipinti. (M.@rt)




Peaceful Days (1870)
oil on canvas, 25.4 x 35.56 cm
Sterling and Francine Clark Art Institute at Williamstown, MA, USA





Edited by Milea - 4/8/2021, 10:29
 
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The Model and the Mannequin (1873 )
(Berthe in the studio)
oil on panel, 12.7 x 17.78 cm
Private Collection



E poi c'era Berthe, una modella maliziosa. Poi conobbe Berthe, una modella, proprio il tipo capriccioso, malizioso, mutevole che Boldini amava dipingere, un piccolo essere grazioso, che sapeva “Posare” d'istinto, senza sforzo, in ogni momento, con sorridente pazienza... e che si innamorò di quel prepotente. Pratica dell'ambiente, seppe svelargliene tutti i “trucchi”, gli trovò un atelier in Place Pigalle dove Boldini trascorse undici anni, lo convinse persino ad aumentare I prezzi. Libero come l'aria, esente da impegni mondani, Boldini potè dedicarsi pienamente al suo sport favorito, il lavoro, che in questo periodo si orienta su due direttrici: da un lato la pittura di scenette quotidiane, pic-nic sull'erba, incontri di innamorati, visioni rapide del mondo variopinto c'egli poteva osservare direttamente dalle vetrate del suo atelier; dall'altro quadri di genere, figurine ambientate in salotti sontuosi o nel parco di Versailles, insomma il genere Meissonier che allora furoreggiava indiscusso e che gli antiquari gli richiedevano continuamente




The Hammock (1872 - 74 )
oil on panel, 18.4 x 14 cm
Private Collection


La produzione di Boldini in questo periodo è stata criticata per il suo carattere troppo piacevole e commerciale. Ora a distanza di più di un secolo, cominciamo ad accorgerci che mentre I quadretti di Meissonier, di Fortuny e dei loro imitatori italiani e spagnoli sono stucchevoli, quelli di Boldini resistono mirabilmente. Perchè? Era il semplice fatto che Boldini aveva del genio, che qualunque sua pittura ne era intrisa, e che se si può parlare di influenze, non è certo a Meissonier che bisogna guardare, ma a Fragonard, a Watteau, alla grande scuola veneziana del garbo e del colore.
Indifferente alle critiche e alle opinioni. Boldini non pensava a queste cose; lavorava sapendo che a un certo momento il suo volo si sarebbe fatto più alto e sicuro.

Si trovava talvolta nei caffè con colleghi illustri- Degas, Lautrec, Manet, Gervex, Gérôme – ma preferiva trascorrere le sue sere a teatro per osservare e prendere appunti.
Seguiva naturalmente, l'opera dei colleghi più interessanti (Degas soprattutto) ma la fiammata dell'impressionismo non lo lambì neppure. Fu tra i primissimi a comprendere che le “etichette”, le definizioni non servivano a nulla se non a “far ciarlare” come al Caffè Michelangelo.
Il suo momento sarebbe arrivato solo attraverso le due forze che lo avevano sempre aiutato e trascinato: il lavoro e...la donna. Infatti Boldini incontra la bruna, affascinante contessa Gabriella de Rasty.
Se la povera piccola Berthe gli aveva svelato I segreti di Montmartre, Gabriella gli svelerà quelli dell'alta società parigina. I due fanno subito coppia. Berthe, la grisette, scivolerà a poco a poco nel passato e Boldini entrerà, a trentadue anni, nel periodo decisivo della sua carriera.

Ora pianta sul cavalletto tele alte due metri e le aggredisce, la sciabola con lunghe pennellate, gridando, piangendo, cantando “Funicolì funicolà: Boldinì Boldinà”. “Errore terribile”, rimprovera a se stesso dopo un tocco non felice. “Meravigliosamente riparato” proclama rasserenato un attimo dopo. Una vera forza della natura asserisce chi ha avuto il privilegio di assistere a qualcuna di queste “sedute”. (M.@rt)




Giovane bruna a letto (Madame de Rasty), 1882






Edited by Milea - 4/8/2021, 10:22
 
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portrait-of-maria-eulalia-of-spain-1898
Portrait of Maria Eulalia of Spain (1898 )



Da Cléo de Merode all'infanta di Spagna. Comincia la sfilata delle immagini femminili che faranno epoca nella storia dell'arte e del costume: Cléo de Merode, Lina Cavalieri, la marchesa Casati, la principessa Bibesco, l'Infanta Eulalia di Spagna, mademoiselle Lanthelme, Donna Franca Florio, la principessa Murat, madame Vanderbilt, madame Victor-Hugo... Un discorso a parte meriterebbero anche I ritratti virili: Robert de Montesquiou, Henri-Rochefort, il pittore Whistler, Willy e, capolavoro dei capolavori, quello a pastello di Giuseppe Verdi, oggi alla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma.

Per circa trent'anni Boldini si prodiga circondato da un favore costante ma che, strano a dirsi, non lo tocca nell'intimo. Certo, le stupende - e spesso compiacenti – donne, gli uomini più in vista che da Parigi come da Londra, da New York come da Buenos Aires accorrono a far idealmente “la coda” davanti alla Casa Rossa di Boulevard Berthier per ottenere l'onore, non sempre concesso, di essere ritratti (prezzi da capogiro) da quell'infernale piccolo mago, lo lusingano. Ma alla celebrità è avvezzo, il denaro è più un'affermazione che una metà. Infatti non sarà mai veramente ricco.
Non è prodigo, ma ha una speciale predisposizione per le speculazioni sbagliate: il famigerato “prestito russo” inghiotte gran parte del suo patrimonio. Quel che a lui importa è ancora e sempre lavorare.


Montesquiou_Robert_de_-_Boldini
Count Robert de Montesquiou (1897 )


Quando, per un naturale riflusso, all'inizio del secolo una specie di corrente ostile si agita contro di lui accusandolo persino di far dell'arte “immorale”, non ne è minimamente scosso; anzi, tra una cena e l'altra in compagnia dei suoi amici pittori Sem e Heleu, dipinge sempre più “Boldini”, porta alle estreme conseguenze, quasi al limite del surrealismo, del caricaturale la sua tecnica e la sua visione. Lui sapeva benissimo di essere Boldini e che gli altri -qualunque fosse il loro valore, la loro scuola – non lo erano.


boldini-ritratto-di-giuseppe-verdi
Giuseppe Verdi in cilindro (1886)
pastello, 65x54 cm
Galleria nazionale d'arte moderna, Roma


Sul Figaro uno dei più noti, aperti e sensibili critici dell'epoca, Arsène Alexandre, il 14 aprile del 1909 scrisse: “Oggi il suo talento è pervenuto al più alto grado. Oserei quasi affermare che il Ritratto della Marchesa Casati è il più bel pezzo di pittura di tutto il Salon. Cosa paradossale. Egli ha raggiunto un'autentica grandezza attraverso ciò che in arte sembra proprio il nemico della grandezza stessa: la più ardita negazione delle linee. Siamo di fronte a un gettito di disegno così bello, a una così forte e così severa tensione d'armonia, che pur su un tema essenzialmente d'oggi si pensa alla tensione dei grandi maestri del passato”. (M.@rt)


Portrait-of-Marchesa-Luisa-Casati-with-a-greyhound

Portrait of Marchesa Luisa Casati with a greyhound (1908)





Edited by Milea - 4/8/2021, 10:32
 
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Giovanni Boldini Self Portrait (1911 )



Era vecchissimo ma non conosceva riposo. Ma la vita corre via rapida, e se il pittore prima anziano poi vecchio, vecchissimo, non conosce riposo, non vuole ancora rinunciare, la sua mano però non ha più la forza e la levità che per quasi un secolo l'avevano privilegiata.
Negli ultimissimi anni bisognava dolcemente strappargli quadri ch'egli voleva correggere perchè gli sembravano monocromi. Era una cosa straziante, raccontava Emilia Cardona, che il pittore sposò quasi alla soglia dei novant'anni (“Avrei voluto adottarla...ma occorreva troppo tempo) e che lo aiutò a concludere con un ultimo raggio di giovinezza quella lunga esistenza.

Dipingere, ancora, sempre... nelle ore estreme, avvertendo un singhiozzo della sua “Milly”, egli sporse dal letto una mano tremula, sorrise, disse:” Non piangere, guarirò e ti farò un ritratto con un vestito nero lungo lungo. Il più bel ritratto della mia vita...”. Spirò all'alba a Parigi: era l'11 gennaio 1931. Aveva ancora la mano col pollice alzato come chi tiene una grande tavolozza. Nessuno riuscì a piegarglielo. (M.@rt)





Edited by Milea - 4/8/2021, 10:33
 
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Giovanni Boldini, Nudo di giovane sdraiata con calze nere, 1885 circa
olio su tavola, 33 x 55 cm



Edited by Milea - 4/8/2021, 10:37
 
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