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“Rubino! Dov’è Rubino?” “Ma signor marchese, era nel giardino pensile poco fa!” “No, io non l’ho visto correre nel giardino della Cavallerizza!” “Macché, sarà andato come al solito nell’appartamento dei nani!” “Basta che non sia uscito dal palazzo, a inseguire qualche beccaccia tra i canneti…”
“Insomma, senza Rubino non mi metto nemmeno seduto! Andate a cercarlo!” “Abbiate pazienza, signor marchese, lo troveremo,”
“Zu, Ludwig, calmati,” interviene la marchesa, già seduta sul suo scranno” fedrai ke Rubino starà arrifando! Ma adesso inkominciamo, tuti te stanno aspetando, i colori di herr Manteghna si sekkano!”
“Oh, non preoccupatevi, madama Barbara: so bene quanto il marchese tenga al suo bracco! E poi non c’è fretta: questa è solo una seduta di prova, per studiare la composizione, per vedere come organizzare il gruppo.
Oggi mi limiterò a qualche disegno preliminare, uno schizzo, un bozzetto… per l’affresco vero e proprio dovremo aspettare la bella stagione, così i muri si seccano più in fretta e la pittura rimane più resistente.”
“Rubino! Finalmente! Ma dove ti eri nascosto, bello? Qua, vieni a cuccia, bravo il mio cagnone! Mettiti sotto la mia seggiola, che adesso il carissimo signor Andrea, pittore egregio, ci fa il ritratto”. “Siete tutti pronti?”
“Scusate, signor marchese Ludovico, mi spiace disturbarvi, ma sarebbe arrivata una lettera…” “Ma signor Raimondo, proprio adesso”? “Pare che sia urgente: c’è il sigillo del duca di Milano.”
“Uff, quel Francesco Sforza, da quando è duca si crede di essere diventato di colpo un letterato! Mi era più simpatico quando eravamo tutti e due giovani e lui era semplicemente un capitano di ventura… adesso si circonda di poeti, di musicisti, di pittori: ha tanti nemici, ma trova tempo per l’arte… Beh, comunque, da questo punto di vista qui a Mantova non abbiamo niente da invidiare alla grande Milano! Dico bene, signor Mantegna?”
“Ehm, signor marchese, non dovrei essere io a dirlo, ma a parte Vincenzo Foppa, mio vecchio compagno di studi a Padova, a Milano preferiscono una pittura all’antica, tutta oro, decorazioni, insegne araldiche, lusso… per la corte degli Sforza, il massimo della raffinatezza è un gioiello, una miniatura, qui invece stiamo pensando in grande. Credo proprio che nessuno, non solo a Milano, ma nemmeno a Venezia, forse neanche a Firenze, oserebbe dipingere qualcosa di simile a quello che stiamo facendo oggi.”
Che pazienza! Riunire quasi venti persone, dal marchese alla nana, dai paggi all’umanista di corte, è stata un’impresa. Quei ragazzi, poi! Tutti fieri delle loro calzamaglie bianche e rosse, dei giubbetti trapuntati d’oro e bordati di pelliccia… un bel contrasto con il marchese Ludovico, nella sua semplice veste da camera lunga fino ai piedi.
Comunque, ce l’ho fatta: sto iniziando un’opera grandiosa, come non s’è mai vista nell’arte, il ritratto di gruppo di una corte ricca e ambiziosa. Da alcuni anni, ormai, sono il pittore ufficiale dei Gonzaga: un cortigiano riverito, un intellettuale illustre, un artista famoso. Qui a Mantova ho una bella casa, mi sono potuto permettere perfino una piccola collezione di reperti archeologici e statue classiche; ogni tanto mi firmo persino in greco antico.
E pensare che sono il figlio di un falegname di campagna: se mi vedesse ora il mio povero padre! Certo che non si può avere tutto. Mantova sarà pure l’antica città di Virgilio e la capitale di uno staterello raffinato, ma in fondo è lontana da tutto: per carità, qui sto benone e ho intenzione fi fermarmi per sempre, però quando cala la nebbia e dalle finestre non si vede altro che la foschia sui laghi del Mincio, sogno colonne di marmo, edifici baciati dal sole, statue colossali che sfidano il cielo…
I Gonzaga hanno buon gusto. Da decenni, il loro palazzo è un cantiere di lavori di arredo, di decorazione, di pittura, di intaglio, di doratura. Non si fa in tempo a finire una sala, che già nella vicina ci sono i manovali all’opera e le impalcature montate. Ecco perché ho preferito scegliere una stanza appartata. Per la verità, non si trova nemmeno nel palazzo, ma nel vecchio e robusto castello di San Giorgio: chiaro, si è sparsa la voce. Prima che iniziassero i dipinti, nei corridoi della corte tutti la chiamavano già “Camera Picta”, la camera dipinta.
Ho viaggiato parecchio e ho visto gli affreschi ufficiali delle corti signorili di mezza Italia: sono di solito dipinti da guardare da vicino, con figurette che sembrano carte da gioco ritagliate e appiccicate ai muri. No, non è questo il mio stile: a me piacciono le scene grandi e solenni, le prospettive profonde, le figure ampie e sicure.
Il marchese Ludovico è un mecenate di larghe vedute, anche se dice sempre di essere a corto di quattrini e farmi pagare è ogni volta una battaglia. Gli ho parlato del mio progetto e mi ha dato carta bianca.
Con la mia arte ho pensato di trasformare una stanza solida e squadrata, nel cuore di un castello di mattoni, in un padiglione favoloso, un loggiato aperto fatto di pilastrini, drappeggi dorati e damascati, angioletti in volo sorretti da ali di farfalla. Nella volta, al centro del soffitto, dipingerò una finestra circolare, una grande apertura a balconata, affacciata sul cielo.
Tutto finto, tutto realizzato solo con la pittura: userò una tecnica nuova, la prospettiva. E’ il modo per rappresentare oggetti, edifici, persone, in profondità, dando l’idea del volume, della terza dimensione, utilizzando le regole della geometria. La usava già il vecchio Giotto, negli affreschi che ammiravo da ragazzo, a Padova; e poi l’hanno perfezionata i pittori toscani; ma nel mondo delle corti signorili è ancora una novità.
Io voglio portare la prospettiva moderna nel cuore dei palazzi dei duchi e dei marchesi. Lo sento: sarà un capolavoro, una meraviglia!
Il ritratto del marchese, della marchesa, dei loro figli, dei paggi e dei cortigiani occuperà tutta la parete del caminetto. Anzi, userò il camino come una specie di podio rialzato, per raggiungere il quale i paggi dovranno salire i gradini di una scala.
Di solito i ritratti dei signori sono di profilo: lui e lei, uno di fronte all’altra, immobili, congelati davanti a un fondo nero, rigidi e impassibili, come su una medaglia. D’accordo sarà una tradizione e in fondo anche a me hanno chiesto qualche volta di dipingere figure di profilo, ma i marchesi Ludovico e Barbara (lei è una nobile tedesca venuta dal Brandeburgo, nipote nientemeno che dell’imperatore Sigismondo) saranno invece comodamente seduti di fronte, circondati dalla famiglia.
Chi entrerà nella Camera picta crederà di essere al cospetto della corte e, grazie all’illusione delle tende e dei paesaggi, dimenticherà di trovarsi all’interno di un massiccio edificio. Sarà una novità assoluta, ma ho bisogno della collaborazione dei signori, dei paggi e dei famigli.
Questa mattina, finalmente, sono riuscito a radunare tutti quanti. Ho piazzato due seggioloni, per il marchese e la marchesa e ho lasciato che si disponessero come volevano. Naturalmente i bambini più piccoli si sono raccolti intorno alla mamma.
La piccola Paola (poverina, com’è magrolina e bruttina, con quel mento aguzzo, la fronte bombata e il naso appuntito!) avrebbe voluto persino essere presa in braccio e ha offerto alla marchesa una mela, una primizia del frutteto del palazzo.
Gianfranco, pingue e ingombrante, si è messo accanto al seggio del marchese (che intanto stava girando nelle stanze vicine alla ricerca di Rubino) e Rodolfo invece si è piazzato dietro lo schienale della marchesa; tra i due ha trovato posto l’insegnante di lettere classiche, Vittorino da Feltre, severamente vestito di nero, con gli occhi bassi e i capelli grigi.
La nana, piccolissima, ha dovuto mettersi in primo piano. Se ci fate caso, lei e Rubino sono gli unici due personaggi che hanno guardato verso di me mentre schizzavo il ritratto!
Dietro la nana, ecco l’adolescente Barbarina, la più bella delle marchesine, che infatti girano gli occhi verso i paggi che si pavoneggiano, mentre l’anziana balia, dietro di lei, accenna un sospiro: il tempo dei giochi è finito.
Stefano Zuffi
Il mondo dipinto Ventidue capolavori di grandi maestri raccontano la loro storia
Ed. FeltrinelliKIDS
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