Teresa Wilms Montt

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Teresa Wilms Montt

(1893 – 1021)


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María Teresa de las Mercedes Wilms Montt
nasce l’8 settembre del 1893 a Viña del Mar, a nord id Santiago. Figlia di Federico Guillermo Wilms Montt y Brieba y de Luz Victoria Montt y Montt, rampollo di una stirpe di latifondisti tardo. Coloniali, e di Luz Victoria Montt and Montt, cresce e viene educata nell’ambiente criollo dell’aristocrazia viñamarina del tempo, pregno di tabù e di stilemi socio-culturali, in un milieu marchiato a fuoco dalla religione e da cupi retaggi pionieristici.

Teresa_Wilms_Montt

E’ bella, intelligente, precocemente incline alla lettura, ribelle ai canoni del suo lignaggio, ha un carattere labile e gentile, predisposto a una forma di cultura che la induce presto ad isolarsi verso un mondo altro, dove la favola dell’evasione farà di lei una donna senza tempo, in parte inconsapevole di una invasiva femminilità dal charisma potente e singolare.

A diciassette anni, Teresa sposa, contro la volontà dei suoi genitori, l’agiato avventuriero Gustavo Balmaceda, un uomo passionale e al tempo stesso brutale.
Messa al bando dai suoi, si trasferisce con lo sposo a Iquique, dove comincia a frequentare, in aperto contrasto col marito, i movimenti anarchici e massoni e I circoli di ambiente socialista, legat al suffragio femminile.

La tensione fra i due si aggrava fino al ritorno nella capitale, dove Gustavo scopre un carteggio amoroso tra la moglie e suo cugino Vincente Balmaceda. Teresa viene segregata in un convento di Santiago e separata dalle sue bambine.
Reclusa in una cella solitaria, scrive lettere febbrili alla madre e si avventura per la prima volta nel mondo tragico di una poesia di tessuto intimista e sepolcrale, cercando anche di togliersi la vita, ingerendo un flacone di morfina.



“Con le palpebre chiuse, alte le braccia,
quasi in mistica unzione,
l’anima mia si volse verso il cielo
implorando il riposo così atteso”.



Nel giugno del 1916 il poeta cileno Vicente García Huidobro riesce a strapparla al convento e a farla fuggire a Buenos Aires.
In Argentina, Teresa dà alle stampe la prima silloge poetica, Inquietudes sentimentales, e, nello stesso anno, Los tres cantos. Ha numerosi corteggiatori e uno di loro, Horacio Ramos, si uccide in sua presenza sparandosi un colpo alla tempia. Teresa gli dedica Anuarì e poco dopo, En la quietud del mármol , segnate entrambe da un lirismo tetro, crepuscolare e autolesivo, limen e climax della sua creazione:


”Anuarì, io t'invoco, addormentata e ti vedo
in un sonno senza fine. Un'ombra, sei,
che sciama soavemente sul mio pensiero,
tenebra divina delle tue ciglia, conserte come ali di farfalla,
vellutata peluria alle tue occhiaie.
Sì, o mio Anaurì, una notte, la più beata notte della mia vita,
sulla mia spalla riposò il tuo volto ed era così intimo il piacere,
che il mio respiro musicò il tuo sonno.




teresa

Ti addormentasti, mia dolce creatura, dopo aver aggrinzito il mio cervello ed il mio cuore, con ansiose labbra di gioventù, simile a un'ape lussuriosa di nettare e profumo, e queste tenebre delle tue ciglia sono come cortine che mi chiudono alla luce del sole e mi travolgono in confusa vertigine alle soglie del tuo grave Paese. Sì, una notte, la mia unica notte, la più lieta, si chinò sul mio seno la tua fronte e vi raccolse il sogno delizioso ed il guanciale dell'eternità.

Da questo momento ha inizio per lei una sorta di inquieto nomadismo, che la vede prima a New York, poi a Madrid, Parigi, a Londra, di nuovo in Spagna e ancora in Argentina fino al ritorno ultimo a Parigi.

“China sui tavolini dei caffè”, racconterà più tardi lo scrittore cileno Joaquín Edwards Bello, “circondata da amici e ammiratori, tra cui il poeta Ramón María del Valle-Inclán y de la Peña, Teresita fumava e annotava versi senza sosta.

”Anuarì, il dolore non uccide, il dolore non reca la pazzia; ma sprofonda nell’anima come un corpo di piombo in un sisma infinito ” .

Nel 1920 Teresa può incontrare finalmente le sue due bambine Elisa e Sylvia. “una bella signora sconosciuta”, rivelò poi Elisa Balmaceda, “ci abbracciò in lacrime e, prima di lasciarci, ci consegnò un barattolo di cazuela cilena fatta in casa. da quella volta non la vedemmo più.” La notte della Vigilia di Natale del 1921, dopo un periodo trascorso facendo uso di droghe e sonniferi, senza mai abbandonare il suo monolocale parigino, Teresa mette fine ai sui giorni con una forte dose di Veronal.

Racconterà poi Elisa: “Quella notte io e Sylvia ci destammo dal sonno allo stesso tempo. Era sembrato a entrambe che una mano ci sfiorasse le guance ansiosamente.” La Wilms ha appena ventotto anni, ma è invecchiata, ingrassata dall’uso degli oppiacei, e ha perduto la grazia leggendaria che ha accompagnato la sua breve vita, dedita all’arte come alternativa di un’inguaribile melancholia. (M.@rt)


“E’ il mio diario. Sono io, la donna dannatamente ignuda,
io, la grande fra tutto ciò che è piccolo,
io, la bimba di fronte all’infinito…”




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Edited by Milea - 25/7/2021, 11:06
 
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Da Anuarì (En la quietud del mármol)


IV

Dormi quieto, Anuarì. Io sarò sempre tua. Ho mutato il mio corpo in un altare sacro alle tue carezze e alle tue labbra, profondo altare di venerazione.

Io reco l'incisione della lama del tuo riso nel punto ove poso i miei occhi; il tuo riso carnivoro, mordace, che fa delle tue labbra un bocciolo di sangue, denso di bianche, lucide semenze.

Anuarì, il tuo sorriso è scempio e distruzione che reca morte ad ogni mia speranza, il tuo sorriso è per la mia mente come il lampo che stride nella notte. Madreperla e veleno distillati dentro il mio cuore per lasciarlo inerte.


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V

Anuarì, io t'invoco, addormentata e ti vedo in un sonno senza fine. Un'ombra, sei, che sciama soavemente sul mio pensiero, tenebra divina delle tue ciglia, conserte come ali di farfalla, vellutata peluria alle tue occhiaie.

Sì, o mio Anaurì, una notte, la più beata notte della mia vita, sulla mia spalla riposò il tuo volto ed era così intimo il piacere, che il mio respiro musicò il tuo sonno.

Ti addormentasti, mia dolce creatura, dopo aver aggrinzito il mio cervello ed il mio cuore, con ansiose labbra di gioventù, simile a un'ape lussuriosa di nettare e profumo,

e queste tenebre delle tue ciglia sono come cortine che mi chiudono alla luce del sole e mi travolgono in confusa vertigine alle soglie del tuo grave Paese. Sì, una notte,

la mia unica notte, la più lieta, si chinò sul mio seno la tua fronte e vi raccolse il sogno delizioso ed il guanciale dell'eternità.



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VI

Dal profondo silenzio il tuo guardare evoco, e gli occhi… e giaccio intirizzita, benché chiusi da morte, sono simili a un raggio che a un tratto si ridesta. In essi non ancora appassita la forza dell’incanto.

Sono due fari azzurri, che mi svelano bagliori di magnifico infinito; sono due stelle enormi e primitive, profondamente fisse al mio dolore, che crivellando ne fan grande l’orma sino ad apre una breccia sconfinata come un mondo. I tuoi occhi tanto amati, che furono il riflesso di questa tua bellezza silenziosa, vivono ancora dentro la mia mente, vita traendo dalla mia propria vita, e lucendo del fiotto inestinguibile delle mie lacrime, Anuarì.

Così come lo sguardo tuo m’incatenò alla vita, mi spinge adesso alla tua sepoltura, provocando il mio grido di delirio. Calamite i tuoi occhi, di un abisso di cui sento feroce l’attrazione…



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VII

Dalla profondità del mio pensiero la tua immagine sgorga avvolta dal mistero della morte, con l’aureola atterrita di un aldilà da sempre sconosciuto. T’invoco, tutta l’anima conchiusa su di te: ti chiamo e ho l’impressione che le tenebre e il tuo asso alato siano venate da lacerazioni come un uccello trafitto in pieno volo. Quando comprendo che non ti vedrò più, mi sale al cuore un fiotto di terrore, serrando la mia mente in un tragico involucro di vuoto, e una vaga impazienza di massacro sul piacere di vivere.

Tu, così forte e bello, col tuo viso sereno e la tua fronte sempre fissa al cielo.

Anuarì, il dolore non uccide, il dolore non reca la pazzia; ma sprofonda nell’anima come un corpo di piombo in un sisma infinito. Turbata, ascolto nelle lunghe notti l’eco della mia voce che ti cerca attendendo nel buoi una risposta. Poi, la nera realtà mi percuote furente. Forse l’anima tua pure è svanita? No! Ma com’è possibile che tanta forza, tanto ardore astrale, possa perire nell’eterno gelo?



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Edited by Milea - 30/11/2023, 22:15
 
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Da Inquietudini sentimentali

IX

Con il capo reclino fra le braccia, in affannosa insonnia, ripeto, come un bimbo, una prece: il tuo nome. Sì, Anuarì, ho tanta voglia di dormire; provo lo stesso languido sopore che turbò la tua anima prima che eternamente si estinguesse il tuo sguardo adorato.

Come in un’orazione, le mie labbra van ripetendo, sillaba per sillaba, il rosario sgranato del tuo nome, e le mie mani giacciono protese al nido tiepido dei tuoi capelli per cercare un rifugio ove morire. Anuarì! Anuarì!

Simili al brulicare di una fonte sgorgano dal mio seno implorazioni e grida di dolore. Il caos le inghiotte tutte, prima che possono arrivare a te. […] Senza di te la vita è qualcosa di tetro, un ignobile straccio che mi segue.


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XLVIII

Ombre furtive che entrano dalle persiane serrate hanno decorato il mio soffitto con il capriccio di un’artista. È una città pigmea che ha come unico abitante un fragile ragno con zampe di spillo.

Il fumo dei legni di sandalo, che ardono in un angolo, finge forme di snelle ballerine che si allungano azzurrate fino a spezzarsi come elastici. Una maschera cinese muore dalle risate contro il guardarobiere.

Bisbigliano i ritratti impauriti da tanta immotivata ilarità, attenti a non essere sentiti dal cappello
che si torce sulla poltrona come una testa appena sgozzata.

Sbadigliano i cassetti del comò, mostrando la bianchezza delle camicie e tirando fuori la lingua rosa delle cinte, mentre il pizzo del letto, sostiene un’abbronzata polemica con un paio di scarpe
che protestano indignate per l’ebrietà dei loro tacchi.

Un guanto fa strani toporagni contro la parete; ha le stesse contrazioni degli agonizzanti tra le lenzuola mortuarie. La città del mio soffitto si è oscurata, il tremulo ragno è andato a nascondersi tra i fili che pendono come un’amaca all’uno e all’altro cornicione.

Tutti gli eroi della novella che vagano confusi nell’ombra, hanno rovesciato gli scaffali cercando le pagine dei loro libri, come tornano le anime al cimitero quando il giorno rispunta.

Nella testa del Niente si è suicidata un’idea.




Edited by Milea - 30/11/2023, 22:21
 
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La mañana

(Los tres cantos)


Canta anima mia; canta la mattina!
Canta con gli uccelli, con gli alberi, i fiori e le acque!
Canta con il vento e la montagna,
con la foresta e la pianura illuminata dal sole,
che ti viene offerta come un’anfora d’oro traboccante di vita!
Canta anima mia, con il meraviglioso grillo di luce,
che abita nella corteccia dei pini
e con l’ape ubriaca di profumo;
canta con l’aquila solitaria nella cuspide delle rocce
e con la formica laboriosa nelle cavità della terra!
Canta con la farfalla dalle ali inquiete
come le palpebre di un bambino,
e con il verde rospo sul trono di ninfee
nello specchio dello stagno.
Canta con il raccolto e il grano dorato;
con frutti rosa, che si aprono come giovani labbra;
canta con il tenero agnello del gregge
e con la madre felice che lo ha dato alla vita!
Canta, anima mia, canta con l’anima gemella;
con la cara anima sorella che vibra,
piange e ride con te in un solo battito!
Canta con il candore gioioso del sorriso sincero
e dello sguardo trasparente
che riflette la serenità della sua dolce emozione!
Canta anima mia, e tendi le braccia all’amore raddolcito
che giunge al tuo grembo per trovar rifugio;
dagli riparo anima mia e desta la sua crescente potenza!
Canta con le lacrime di gioia
che fremono e scivolano come gocce di rugiada sui petali,
e con il bacio che timoroso s’insinua disegnando i veli del cuore
per cedere il passo all’aurora piena d’amore!
Canta, canta, canta, con la vita,
con le passioni del fuoco,
con le delizie floride;
canta con la gloria suprema degli spasmi condivisi
e con i languori che donano agli occhi
i toni del tramonto!
Canta anima mia e trasmetti all’inutile il tuo fuoco;
dagli la tua essenza, crea mondi,
profetizza meraviglia e gentilezza,
erigi un trono alla verità pura!
Canta e attraversa gli spazi con la tua voce musicale
e imponi silenzio sugli uccelli perché diano ascolto
alla parola dell’uomo savio e ferace!
Canta anima mia, canta
e bevi in un sorso il nettare mattutino;
canta anima mia, il cielo azzurro
e la campagna siano per te un baccanale
con la cui bellezza puoi ubriacarti!



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El Crepúsculo

(Los tres cantos)

Pregate anima mia, pregate!
Pregate per il pomeriggio morente,
per la campana del lontano convento
che lentamente nell’aria soffia il suo metallico gemito!
Pregate per le pecorelle smarrite
e per gli alberi veementi
che sporgono verso il lago
le loro ombrose chiome!
Pregate anima mia,
con l’uccello senza nido
e per la pupilla cieca
del pozzo abbandonato!
Pregate; pregate per il cammello esausto
nelle sabbie del deserto
e per il leone ferito nelle giungle;
pregate per i campi devastati
e le spighe senza grani!
Pregate per il dolore dell’abisso
e per la foglia spiccata!
Pregate per il carro senza ruote
abbandonato nel mezzo del cammino
e per la capanna in rovina che,
come anima del paesaggio,
rimase in attesa dell’uomo!
Pregate; pregate anima mia,
per l’orfano e per il vecchio mendicante;
pregate per i fiori che raccolgono i loro petali
per morire e con il sole,
il cui oro piangente
va calando dietro alla montagna!
Pregate affinché l’orizzonte si accinga a dar preannuncio di sangue
e le nuvole colme d’odio vadano in disgrazia;
pregate e inginocchiatevi anima mia,
pregate affinché regni la pace fra gli uomini e gli elementi;
affinché tutti uniti nella medesima volontà possano andare beati
verso la fine e rinascere con maggior energia e sapienza!
Pregate per coloro che non hanno nome,
ma che offrono il loro impeto e bontà
senza chiedere compenso né onori;
per il vecchio tremante che alla terra china il capo
portando in essa spirito primaverile!
Pregate, pregate anima mia,
per la povera donna innamorata
che per sempre ha visto il suo amato
addormentarsi fra le sue braccia;
pregate per lei, che ha vissuto la feroce realtà
del sentirsi inerme di fronte al potere dei suoi baci
e del suo amore per farne il calore della vita!
Pregate con i cuori squarciati che ululano dolore alle ombre
e debbono ridere alla luce del sole!
Pregate, pregate, pregate mia anima,
toccate la polvere con i vostri pensieri,
scongiurate malauguri, alleviate l’amarezza
e date la vostra essenza per giuste e nobili cause!
Pregate, è l’ora dei presagi, delle tetre apparizioni;
l’ora in cui nasce il destino degli uomini!
Prega contrita, mia anima; il dolore sta arrivando!
Il sole se ne va, e dalle ali delle farfalle morte
nascono fiori per le tombe.
Il sole se ne va. Desolata cala la notte,
portando in grembo il corpo privo di vita del giorno,
pallido, freddo, pallido, esangue….
Spietato e felino, il lupo insegue gli agnelli,
affilando i denti nella corteccia di alberi secolari
e martirizzando le foglie con i artigli feroci.
Rumorosi insetti volano da una parte all’altra,
si nascondono fra le erbacce,
evitando l’ultimo raggio dell’astro d’oro.
Il sole se ne va. I patimenti vagano per il mondo
con volto affamato in cerca di cuori da divorare.
Il sole se ne va, e il sorriso del moribondo
va incidendosi sulla pietra indelebile dell’immortalità.
Il sole se ne va, e l’anima trema di terrore nell’oscurità.
Natura! Il bel viso s’avvizzisce e,
come le candele che vanno spegnendosi,
china la sua languida testa.
La voce, la sua voce allegra, si attenua;
le parole rotolano e un’eco cavernosa risponde nel mistero.
I suoi occhi, serbanti l’incanto,
ragion della mia vita,
si socchiudono privi di bagliore
e come tristi stelle mi osservano profondamente,
accomiatandosi.
Natura! Intendi, forse, negar il tuo sostegno
a questa grande anima
e lasciarla precipitare nel caos come un’ombra?
Ti canterò; madre mia, ti implorerò;
prostrata bacerò la terra in un prova d’umiltà.
Lascerò che gli uomini mi guardino con disprezzo;
accetterò il morso delle vipere
e il flagello delle loro viscide membra sulle mie spalle.
Riceverò volentieri il castigo di gelidi venti,
che s’insinueranno fin nel midollo
e nel mio cervello faranno il loro rifugio.
Chiederò ai fulmini e ai tuoni che sfoghino sulla mia fronte il loro furore.
Con voce piena implorerò il mare,
perché mi avvolga nell’ira delle onde,
e sin all’ultima goccia si liberi d’ogni amarezza.
Lascerò che il sole s’irriti sul mio corpo e lo faccia carbone;
mi rassegnerò a esser combustibile per fiamme maligne.
Rinuncerò alla mia coscienza, e sarò umile bestia,
con gli occhi rivolti a terra, in attesa di orrende torture.
Sarò un’entità, un nulla, futilità; ma lascia ch’ella viva,
respiri, riceva la solenne benedizione di tutto ciò che racchiudi,
Natura onnipotente!



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VII

(Inquietudes Sentimentales)


Due seni pallidi e inquietanti insieme; occhi rapiti
di lubricità, e una carezza impudica e carnale,
di traverso al mio passo e al mio cammino.
E una voce dal suono indefinibile,
come il duro singhiozzo di un bambino,
che mi sussurra: Vieni! Io sono l’eros.
Ed io andavo seguendo questa menade folle, come
un lembo d’acciaio segue la calamita.
Avanzavo sospinta dal mistero…
S’eran fatte di ghiaccio le mie labbra,
chiusa la gola da sbarre di ferro.
Il mio sguardo era lucido d’umore,
gli occhi raggianti come pietre alcoliche…
E ritornai, le labbra insonnolite,
gli occhi accecati e trepide le mani
contro se stesse in orrido conflitto,
assetate di scempio e, nel mio cuore,
una sorta di marchio rosso fuoco,
denso della più amara delusione.
Ma io non ero lì: non mi porgeva,
la baccante folle, alcun rimedio per il mio mal d’amore.



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XVI

(En la quietud del mármol)


Anuarí…
Quest’oggi ti ho un fascio d’immacolate peonie.

Al posarle sul tuo feretro,
mi parve che dal cielo piovessero stelle su di lui
e fui colta da un delirio di bellezza.

Volli unire le labbra ai bianchi petali,
e dal firmamento della mia anima scesero baci,
un’infinità di baci d’amore sul tuo corpo sognante.

La dolcezza della tua tomba,
s’insinua nella mia mente,
come un bagno di rose,
ravvivandola con aneliti di passione.

Purificata è la mia carne
dalla pura aurora dei tuoi avi
che riposano accanto alla tua salma.

Anuarí, mia creatura.



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La Noche

(Los tres cantos)


Il cielo diventa più fragile nella terra dei dormienti;
ha tonalità stupefacenti che si offrono con umile morbidezza alle fossa,
e nel sole c’è meno desiderio di irradiazione,
più dolce nel suo oro che nei campi,
dove ritorna brillante,
come fiamme ravvivate dal vento,
alle spighe mature.
Ho sentito parlare coloro che se ne sono andati,
è un mormorio carezzevole; provo invidia.
C’è tanta bellezza nella semplicità e nel gelo.
Ogni defunto è un blocco immacolato di neve
che diffonde la sua bianca serenità
come una maestosa moltitudine di perdono e oblio.
Ogni defunto è profonda, immutabile bontà.
Ogni defunto è esempio di silente abnegazione.
Lì, tra i morti, trovo il mio spirito,
ed è con loro che condivide la sua profonda tenerezza.
È con loro che si sente forte ed è per loro che si arrende senza timori,
dolcemente, come un devoto al suo Dio.
Miei defunti; sublimi amori.
Vivrò tra voi; sarò un’estrosa dormiente senza gelidi sogni,
ma nel suo glaciale riposo.
Sarò madre di tutti, con le braccia cariche di fiori,
quei fiori che non potete cogliere con vostre algide dita.
Sarò la sposa vergine che vi darà tutta l’intensità
del suo dolore puro fra lapidi e pietre.
Sarò il vostro giorno, il vostro sole, la vostra notte di luna piena.
Oh, miei defunti! Nessuno verrà a togliermi questo privilegio;
i vivi hanno così tanto da dimenticare nella loro lotta per gli onori.
Essi non sanno che nel vostro paese si trova la chiave dell’enigma.



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Autodefinizione


Sono Teresa Wilms Montt
e anche se sono nata cento anni prima di te,
la mia vita non è stata tanto diversa dalla tua.
Anche io ho avuto il privilegio d’essere donna.

E’ difficile essere donne in questo mondo.
Tu lo sai meglio di tutti.
Ho vissuto intensamente ogni respiro e ogni istante della mia vita.
Ho distillato una donna.

Hanno cercato di reprimermi ma non ci sono riusciti con me.
Quando mi hanno voltato le spalle, io ci ho messo la faccia.
Quando mi hanno lasciato sola, ho dato compagnia
Quando hanno voluto uccidermi, ho dato vita.

Quando hanno voluto rinchiudermi, ho cercato la libertà.
Quando mi amavano senza amore, ho dato ancora più amore.
Quando hanno cercato di zittirmi, ho urlato.
Quando mi hanno picchiato, ho risposto.

Sono stata crocifissa, morta e sepolta,
dalla mia famiglia e la società.
Sono nata cento anni prima di te
comunque ti vedo uguale a me.

Sono Teresa Wilms Montt,
e non sono adatta per le signorine.





Edited by Milea - 30/11/2023, 22:22
 
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