Mark Rothko, Violet, Black, Orange, Yellow on White and Red, New York, The Solomon Guggenheim Museum (1949)

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Mark Rothko, Violet, Black, Orange, Yellow on White and Red
olio su tela, 207×167.6 cm. (1949)
New York, The Solomon Guggenheim Museum



Mettete sul fuoco una pentola piena d' acqua. A 45 gradi l' acqua sarà calda; a 70 sarà rovente; a 99 vicina al punto di ebollizione: ma sarà sempre ancora acqua. A 100 gradi, non prima né dopo, avverrà il passaggio, ed essa diventerà vapore. Il Rothko del Guggenheim di New York mi fa tornare in mente questa metafora, che proprio lui escogitò (benché non pensasse a se stesso, ma ai minori, i "carpentieri" della pittura).

Cercava di spiegare a un amico artista cosa accade quando ci si sbarazza di tutto ciò che si è appreso, ci influenza, ci condiziona e ci opprime (i maestri, i modelli, le teorie, i vari ' ismi' ) e, proprio come l' acqua - all' improvviso, ma mai per caso- si diventa qualcos' altro: vapore. Cioè, finalmente, se stessi. Non c' è niente di più affascinante, per chi crea come per chi guarda, che cercare di riconoscere quell' istante. Esplosivo, misterioso, come un' energia sotterranea che si libera, sprigionandosi da un altrove invisibile. Naturalmente un processo psichico e artistico non risponde alle leggi della fisica, e spesso è difficile individuare l' opera in cui un artista abbandona come una morta pelle la crisalide dell' apprendistato, dell' imitazione, del tentativo, e diventa, che so, Pollock, Degas o Kandinsky. Per me Violet, black, orange, yellow on white and red di Rothko coglie proprio l' istante magico e alchemico della metamorfosi. Il titolo è un denotativo elenco di colori: Rothko quasi mai dava nomi ai suoi quadri, per non soffocare la possibile espansione del significato. Il quadro nasce nel 1949 a New York, dove Rothko vive dal 1926. Ha 46 anni, dipinge da 23: è a metà della sua storia di pittore, ma ovviamente lo ignora.

Come tutti gli artisti americani della sua generazione (lui, nato Rothkowitz in una cittadina russa, ora in Lettonia, immigratoa dieci anni negli Usa, ne è diventato cittadino nel 1938), negli anni della Grande Depressione ha sviluppato una radicale coscienza politica e digerito l' obbligatorio realismo sociale. Ha dipinto senza successo enigmatiche scene urbane nella metropolitana di New York. Poi le figure sono sparite, cedendo il postoa biomorfi liquidi, ispirati dal surrealismo. Nel frattempo si è appassionato ai miti, alle culture mesopotamiche e agli archetipi, e ha scritto un arduo trattato teorico (che però non ha pubblicato). Nel 1949 la temperatura della sua acqua sale vertiginosamente. E' un salto brusco. Cambia modo di dipingere. Semplifica, appiattisce, depura. Elimina ogni ricordo della figurazionee ogni ostacolo concettuale (memoria, storia, geometria). Riduce la pittura alla sua materia: canapa, pennello, pigmenti. Sulle sue tele ora galleggiano colorate forme senza nome (le chiama ' multiformi' ). Non significano niente e non rimandano a nessuna realtà ulteriore. Forse somigliano solo alle immagini ipnagogiche che flottano nel buio delle palpebre chiuse.

Nel corso del 1949 queste forme si stabilizzano: diventano bande orizzontali di colore, che il pittore dispone con ordine sulla superficie del quadro. I colori non creano più le forme, sono diventati essi stessi forme e volumi. Le tele sono cresciute: spazi vasti, talvolta immensi. (Rothko avrebbe dichiarato poi che un quadro di grande formatoè più intimoe umano, perché ti permette di abitarlo, di ' starci dentro' ). I quadri non sono più finestre o porte sul mondo: sono facciate, muri, pareti. La temperatura raggiunge i 99 gradi. Nasce Violet, black, orange, yellow on white and red. Rothko pretendeva silenzio. Non voleva spiegare né interpretare i suoi quadri e derideva chi si azzardava a farlo (storici dell' arte, critici, esperti). Voleva che avessero la pregnanzae la fascinazione della musica e della poesia: che fossero esperienze emozionali, non verbalizzabili. Insomma, che trasportassero in una realtà altra- metafisica, quasi sacrale, diciamo pure trascendente. Ma io non possiedo altro che parole. Dunqueè un rettangolo alto più di due metri e largo un metro e sessantasette.

I colori sono disposti armonicamente su fasce sovrapposte. Non coprono tutto il fondo della tela, preparata col bianco, che forma così una sorta di cornice. O meglio, di alone. Da questo emergono, come illuminati dal retro, i colori. La banda più scura (e più pesante), viola, è posta in alto, in modo da impedire alle altre (più leggere, trasparenti e immateriali) di disgregarsi. Il giallo ha quasi smangiato l' arancio: irradiano entrambi un riverbero caldo e soffuso, come un velo che fluttua davanti alla luce. Il nero che sorregge la banda viola è ridotto a una linea - come quando spegnevi il televisore e l' immagine veniva risucchiata illusoriamente all' interno dell' apparecchio. Effetto ottico non estraneo ai quadri di Rothko, che danno spesso l' impressione di vibrare, palpitare e muoversi come cose viventi - dilatandosi e proiettandosi in avanti, oppure contraendosi all' interno. E' decisamente "un Rothko". Infatti - almeno nelle opere del suo cosiddetto periodo classico, che si inaugura nel 1950 e si conclude con la sua morte, nel 1970 - è uno degli artisti più ' iconici' e riconoscibili del secondo Novecento.

Ci sono già i quattro colori prediletti, che declinerà in ogni sfumatura nel decennio a venire: il violetto dal magenta al lillà, lavanda, malva e lampone; il giallo-arancio dal mandarino allo zafferano; il rosso dal cremisi fino al porpora e al prugna. Questi colori pulsanti, divenuti strumenti per agire sulla sensibilità dello spettatore, già creano l' effetto di infinito associato ai Rothko della maturità. Nello stesso tempo, questa è ancora un' opera di transizione. Siamo a 99 gradi: l' acqua gorgoglia, le bollicine salgono verso la superficie, l' ebollizione è imminente. Ma c' è ancora un residuo - qualcosa che impedisce al liquido di vaporizzarsi. Sono le due verticali: le rosse strisce simmetriche poste ai lati delle bande orizzontali. Sembrano voler contenere il colore, supportarlo come colonne.

In un certo senso lo imprigionano. Però sono già esili, evanescenti come un riflesso. Sul punto di dissolversi in vapore, insomma. Questo quadro è un privilegio. Anche l' incandescenza delle strisce rosse lo rivela come il crogiolo dove avviene la fusione. Si dice che, quando scoprì il principio che poi ricevette il suo nome, Archimede abbia gridato: Eureka! Ho trovato! Rothko dovette provare la stessa euforia di una rivelazione, quando completò il quadro - che forse realizzò in un solo giorno, giacché lo pensava a lungo ma lo eseguiva in un baleno. Aveva distillato l' essenza della sua pittura. Le braci verticali non compariranno mai più. Melania Mazzucco





Edited by Milea - 15/8/2021, 14:17
 
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Mark Rothko, l’artista silenzioso:
geometria e i colori


La vita, e lo stile, di un personaggio unico

Senza-titolo-n
Senza titolo n.11


Ebreo russo nato nel 1903, Rothko è giunto presto negli Stati Uniti; dal ' 25 si stabilisce a New York, ove tiene una personale ad "Art of this Century" di Peggy Guggenheim nel ' 44. Insegnante dal ' 48 in una scuola d' arte che ha fondato con Baziotes, David Hare e Motherwell, si lega alle importanti gallerie di Betty Parsons prima, di Sidney Janis poi, fino alla clamorosa rottura con quest' ultimo nel ' 62, per protesta contro il sostegno dato dal mercante alla Pop; riconosciuto come uno dei massimi interpreti della pittura americana fin dai primi anni Sessanta, quando il Moma di New York e molti musei europei gli dedicano ampie mostre retrospettive, muore suicida nel 1970, alla vigilia dell'inaugurazione d' una grande sala personale di sue opere alla Tate Gallery di Londra.

rothko_pittore_dettaglio

È un pittore - certo uno dei maggiori del secolo ventesimo - di cui, conosciuta l'opera, è difficile non subire per sempre il fascino. Da un colore variato, respirante, mai fermo, chiuso in forme imperfettamente geometriche che sembrano galleggiare come in un amnio, Rothko giunge, alla fine della vita, a un colore severo e immoto, diviso da una lunga striscia che, simile ad un ininterrotto orizzonte, percorre l'intera lunghezza del dipinto - un colore cieco ora di profondità e spessori, tutto di nuovo e soltanto dato sulla superficie.

Nel 1961 tenne al Moma di New York la sua prima retrospettiva, che risultò essere per lui un momento cruciale: da allora si manifestò chiaramente l'idea che la sua opera dovesse mirare ad essere un organismo plastico unitario, dotato di vita e di capacità autonoma rispetto agli elementi (i singoli quadri) di cui era costituito: nella sua pittura, voleva che ci si perdesse: rinunciando a pretendere per essa un'esperienza lucidamente razionale o cognitiva, per attingerne invece una emotiva, esistenziale, interamente coinvolgente.

Per questo, dopo l'antologica di New York, Rothko fu soprattutto interessato a rispondere a poche, grandi commissioni che prevedevano la possibilità di collocare vaste serie di suoi dipinti, stabilmente, in spazi museali, o comunque pubblici. Sino a quando, alla maggiore di quelle commissioni - una cappella, che volle multiconfessionale a Houston - Rothko destinò ogni sua energia, dal ' 64 al ' 67, ed oltre: sino a smarrire in quell'impresa come la sua ultima fiamma.

In quella cappella, inaugurata appena dopo la sua morte, Rothko aveva cercato quella che Dore Ashton chiamerà "un'espressione della divinità senza un Dio"; e in essa darà figura compiutamente a quel luogo che cercava, creato dal colore - rosso, bruno, nero - e svelato dalla poca luce che lentamente lo avvolge e lo trascina nello spazio della contemplazione, affine ma più complesso di quello unicamente pertinente alla pittura. Fonte


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N.15



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White Center



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Orange, Red, Yellow



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Mauve 43





Edited by Milea - 15/8/2021, 14:22
 
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