La casa sopra i portici - Carlo Verdone, La storia della bella e grande casa paterna accanto a Ponte Sisto

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view post Posted on 26/2/2012, 21:01     +2   +1   -1
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La casa sopra i portici - Carlo Verdone




casasottoportici


La casa sopra i portici
Carlo Verdone
Bompiani Editore
Collana: Overlook

Pagine: 288
Prezzo: € 18,00
Disponibile dal 29.02.2012






In breve
La storia di una bella e grande casa accanto a Ponte Sisto che il regista e attore romano ha omaggiato attraverso la storia della sua famiglia. Un libro unico per scoprire un “privato” inedito e i molteplici aspetti di un regista, attore, autore che ha ammaliato, divertito, fatto riflettere generazioni di italiani.

Con la morte del padre Mario Verdone l’appartamento è ritornato al Vaticano, proprietario dell’intero palazzo con i portici di Lungotevere dei Vallati. Aneddoti, ricordi malinconici, episodi esilaranti e poetici raccontano la lunga storia della famiglia Schiavina-Verdone che per 80 anni ha abitato quell’appartamento, originariamente appartenuto alla famiglia della madre di Carlo, Rossana Schiavina.

Il libro
Carlo Verdone si racconta per la prima volta in un flusso di ricordi ricco, sorprendente, tenero ed esilarante. Sospeso tra ironia e malinconia. Grande protagonista del libro è la casa paterna. La casa sopra i portici. Un luogo attraverso il quale si snodano tanti eventi: le catastrofiche feste dannunziane, gli incontri con Federico Fellini e Alberto Sordi, le incursioni destabilizzanti di geni dell’avanguardia come Gregory Markopoulos.

E poi il rapporto con i genitori e i fratelli, gli scherzi (tanti, fulminanti), le prime esperienze sentimentali ma anche i drammi familiari. Un sincero percorso di vecchie, struggenti emozioni, dove anche gli odori e i rumori diventano protagonisti. Un libro unico, imperdibile, per scoprire un “privato” inedito e i molteplici aspetti di un regista, attore, autore che ha ammaliato, divertito, fatto riflettere generazioni di italiani. Un artista che - attraverso la sua trentennale carriera - ha tracciato un formidabile, lucido, disincantato e talvolta spietato ritratto del nostro paese.




Edited by Milea - 3/9/2014, 22:31
 
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view post Posted on 27/2/2012, 15:53     +1   +1   -1
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Verdone: casa con vista
sulla mia Roma e sulla mia famiglia



carloverdone




Si resta stupiti, sentendolo dire che «un film è sempre un po’ falso, la parola scritta sottolinea meglio le emozioni, è calce, calce molto solida». Carlo Verdone spiega come e perché, quasi in contemporanea con l’uscita nei cinema di Posti in piedi in Paradiso, mercoledì arriverà in libreria La casa sopra i portici, una sorta di autobiografia nella quale celebra i suoi genitori, Mario e Rossana. E lo fa assemblando i mille pezzi delle vite che nei decenni hanno attraversato l’abitazione di Lungotevere dei Vallati 2, a ponte Sisto, che i Verdone hanno abitato dal 1930 al 2010.

Scritta ora, a 61 anni, «perché quando hai per troppo tempo il vento a favore ti devi aspettare che giri» e per ricordare «il duro lavoro dei miei, che tra i risultati e le soddisfazioni hanno avuto anche un figlio che li ha potuti onorare. Perché devi avere un nome per poter pubblicare un libro. L’ho scritto per fermare il tempo, anche se ne è passato molto. Tanto tempo, tanta storia».

Una storia scritta, ma trattata alla sua maniera, un libro a episodi contrassegnato da una miriade di foto: «Sono un regista, ma era complicato raccontarla in un film. Però non potevo fare a meno delle immagini, volevo far rivivere le persone fotograficamente. Prendetelo come un mini-mini-mini film. In quella casa uno come Ettore Scola avrebbe potuto girare benissimo La famiglia, perché era un luogo poetico. Io, nato nel ’50, comincio a ricordare qualcosa dal ’55-’56, un po’ in bianco e nero e molto a colori. Nel 1980 mi sono sposato ma ho continuato a frequentare la casa perché, morta mia madre nel 1984, c’era mio padre. Finché anche lui ci ha lasciati».

Quello è stato lo spartiacque?
«E’ stato qualcosa di terribile. Ho sempre pensato che mio padre abbia dato il meglio di sé sul letto di morte. Stava per prendere il treno che porta dall’altra parte e dispensò molti consigli, con poche frasi. A me, a mio figlio e a mio fratello Luca disse che gli dispiaceva molto lasciarci in un mondo superficiale in cui si è persa la dignità. Non voglio che tu abbia il nome sul giornale, ma che tu abbia dignità, disse al nipote».

Dopo la morte di suo padre si rivolse al Vaticano, proprietario dell’edificio, per poter mantenere quella casa.
«Scrissi al cardinal Bertone a nome di tutti i fratelli. Perdere la casa che ci aveva protetto e accarezzato rappresentava un altro lutto. Dopo due giorni rispose il segretario, l’appartamento andava a due anziani sacerdoti. Che però lo trovarono troppo grande. Mi richiamarono per sapere se interessava ancora, ma dopo sei mesi di traslochi e 11.500 libri di mio padre distribuiti a destra e a manca decisi che il tempo era ormai andato. Ora mi basta vederla da qua (dal Gianicolo, ndr), ogni mattina la saluto, è un grande amore che non si vuole interrompere».


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C’è naturalmente Roma nel suo libro, ma batte molto sulla dignità perduta, senza lasciare intravedere speranza.
«Questa città è avviata a un lento degrado. Bastano poche osservazioni: il cancello arrugginito di Villa Sciarra, i muri frantumati, le scritte che non vogliono dire nulla, i nasi rotti dei busti del Gianicolo. Non si ha rispetto per la memoria e una delle cose che mi addolora è proprio la sua perdita. Io, nato negli anni Cinquanta, pennino e calamaio sul banco di scuola, sono un uomo di altri tempi che però si è adeguato, cercando di capire e raccontare fragilità, magagne e depressioni. Ma non conservare la memoria, non studiare il passato, porta al disastro: non comprendi l’oggi e non puoi prevedere il domani».

Lei, il romano per eccellenza, vanta però radici senesi.
«Sono due città estremamente poetiche. Roma è la città madre, quella delle emozioni forti. Siena è una parente molto stretta. Lì, nella sua casa umile ma dignitosa, ho capito veramente mio padre, la grandezza dei suoi amici, scrittori e poeti chiassosi ma raffinati. Della raffinatezza che manca a Roma. Siena, città dagli odori particolari: l’umido, i ristoranti, i cavalli. Una volta anche Roma aveva un odore che cambiava da quartiere a quartiere e la casa sopra i portici si portava l’odore della pasticceria al piano terra. Ora c’è solo l’odore notturno della birra».

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Torniamo al tentativo di fermare il tempo. Il libro si apre con il Vicariato e si chiude con un muezzin.
«E’ la storia che evolve. In una Roma deserta e silenziosissima, ad agosto, c’era una bava di vento che portava un canto impercettibile, lontano, la preghiera appunto di un muezzin. Una volta sentivo le campane e le rondini, ora queste non ci sono più e quelle le senti di meno. Anche quel canto è uno scandire il tempo, ma di lancette che corrono in modo molto rapido».

Lei è credente?
«Lo sono, anche se ogni tanto perdo la fede, però quando penso al Padreterno mi sento abbracciato da un qualcosa che non so dire. E se incontro persone profonde, elevate, sento che sto parlando con una copia, sia pure sbiadita, di Dio».

Ha collocato la parte degli affetti in coda.
«Mi è venuto naturale collocarla nella parte finale del film... Lapsus freudiano, dico film perché non sono uno scrittore. In questa avventura mi ha accompagnato Fabio Maiello, un saggista di Napoli che mi ha suggerito la ripartizione dei paragrafi a macchia di leopardo. Il montaggio l’ho fatto fare a lui, è una narrazione anarchica ma più coinvolgente. La molla che ha dato il via al libro è stato un miracolo molto strano: ricevetti una foto di mia madre ragazza su un pattino a Porto Recanati. Mi commuoveva vedere ragazza, nel pieno della sua vita, la donna che avevo amato di più nella vita. Un minuto dopo squillò il telefono. Lucherini e Pignatelli mi segnalavano che un signore aveva trovato 300-350 lettere che i miei si erano scritti. Ho ripercorso la loro crescita, dal ’41 al ’48, la storia della mia famiglia, la difficoltà di mio padre di farsi accettare, perché allora gli intellettuali non guadagnavano niente. Ma per mia madre era speciale».

Ed era piena di interessi anche lei.
«Andava a teatro, a Santa Cecilia, era amica dei migliori pianisti e direttori d’orchestra, amava lo spettacolo e mi portava con sé. E poi aveva capito la funzione pedagogica dei burattini. Avevamo un teatrino di fine Settecento, con una sua amica lo metteva alla fine del corridoio, c’erano tante sedie per i miei amichetti, lei scriveva i copioni e cuciva i vestiti per le marionette. Casa mia era un teatro, in tutti i sensi».

Altre donne importanti: le domestiche.
«Le ho volute mettere nel libro perché sono state fon-da-men-ta-li. Pensate che queste tate proletarie che raccontavano fiabe non abbiamo avuto un ruolo nello stimolare la mia creatività? Senza le favole di Icca non sarei andato da nessuna parte perché non avrei sviluppato la sensibilità per il racconto fantastico».

Lei scrive di un altarino per gli avi nella dispensa di casa.
«Era una tradizione di una vecchia Roma che non c’è più. Ogni famiglia devota aveva in un angolo di casa l’altarino con le foto dei cari e una lucetta perpetua. Il mio compito era cambiare l’acqua e i fiori ogni due-tre giorni. Una bella tradizione, la conservo ancora».

C’è anche il suo percorso professionale, nel libro, l’underground, Markopoulos, il debutto all’Alberichino.
«Passare dalla grande timidezza alla grande sicurezza è stato un percorso difficile. Pensa che i primi successi non siano stati un disastro per me? Avevo perso la privacy, appartenevo a tutti ma mi sentivo inadeguato. Poi ci fai il callo, ma quanto c’è voluto, quanto c’è voluto...». Piero Santonastaso



Edited by Milea - 3/9/2014, 22:42
 
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