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Incoronazione di spine, 1604 Olio su tela 178x125 cm Prato, Cassa di Risparmio di Prato
Proveniente dalla Collezione Cecconi, considerato totalmente autografo dopo che un restauro lo ha restituito a una condizione di apprezzabile leggibilità. Il dipinto è legato a un complicato, non chiarissimo, gruppo di documenti. Secondo un’antica interpretazione, poi in parte smentita dal ritrovamento di nuove carte d’archivio, la tela potrebbe rientrare nell’intreccio di confronti tra pittori di diverse regioni attivi a Roma all’aprirsi del Seicento: rivalità talvolta sollecitate dai collezionisti, che mettevano in gara gli artisti proponendo di cimentarsi su medesimi soggetti. Una di queste contese avrebbe visto Caravaggio contrapposto a due colleghi toscani (Cigoli e Passignano), impegnati sul tema dell’Ecce Homo. Il quadro di Prato, o forse l’ Ecce Homo di Genova, sarebbe il saggio dipinto da Caravaggio nell’ambito di questa presunta competizione, narrata nelle memorie del nipote di Cigoli e che naturalmente avrebbe visto come vincitore lo zio. Al di là di questa romanzata e poco credibile ricostruzione, l’Incoronazione di spine resta un’opera di concezione salda, efficace e drammatica. Caravaggio offre qui una prova della sua capacità di “ridurre” un tema sacro entro i confini di un’opera destinata al collezionismo aristocratico: non si tratta infatti di una pala d’altare di formato ridotto, ma di un dipinto autonomo e perfettamente coerente con la sua destinazione privata.
Cristo, seduto al centro e colto in un’ insolita espressione di sgomento anziché nella consueta mite rassegnazione, è circondato da tre sgherri. Sfruttando il formato verticale, Caravaggio attenua la gestualità dei personaggi e non indugia eccessivamente nella ricerca espressiva: le figure appaiono come compresse in uno spazio troppo stretto, le mani di Cristo e dei suoi carcerieri invadono lo spazio, il dipinto produce un effetto di soffocamento, di impossibile fuga, di fisicità opprimente. La luce, spiovendo da sinistra verso destra, mette in evidenza la schiena nuda del carnefice in primo piano e soprattutto la potente articolazione della spalla di Cristo: un dettaglio su cui Caravaggio ritornerà nella successiva e più dilatata interpretazione della Flagellazione, dipinta a Napoli.
Il profilo camuso dell’aguzzino sulla destra non esprime particolare violenza o bestialità: tra lui e il Cristo si stabilisce addirittura un rapporto di reciproca comprensione.
Il volto di Cristo è proteso verso l’alto, a differenza di quanto avviene nelle altre versioni dipinte da Caravaggio.
Il dipinto è fortemente caratterizzato dalla presenza delle mani, spesso in piena luce, mentre i volti affondano nell’ombra. Cristo ha le mani legate, ma riesce a compiere un gesto simile a quello di una benedizione (paragonabile, ad esempio, a quello della versione milanese della Cena in Emmaus), come se volesse perdonare gli aguzzini che lo tormentano. (M.@rt)
Edited by Milea - 10/8/2021, 20:42
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