Votes given by Lottovolante

view post Posted: 30/4/2024, 19:09 by: Jeanne Hebuterne     +1Un aforisma al giorno - ANGOLO LETTURA



Il matrimonio è una lunga convivenza,fatta anche
e soprattutto di grandi discussioni, dove una
persona ha ragione e l'altra si chiama marito.


(La signora Coriandoli)

view post Posted: 25/4/2024, 11:12 by: Milea     +1Un aforisma al giorno - ANGOLO LETTURA



La libertà è come l’aria.
Ci si accorge di quanto vale quando inizia a mancare.

( Pietro Calamandrei)







view post Posted: 25/4/2024, 09:47 by: *stellinat*     +1Milano insolita e segreta [FOTO] - VIAGGI & NATURA

Hieracium australe, il fiore unico al mondo
che cresce soltanto a Milano


L’inventario aggiornato della flora spontanea italiana
registra una specie “endemica” del capoluogo lombardo.
Nel 2018 erano due, ma una si è estinta




Passeggiando per Milano, può capitare di imbattersi in alcuni fiorellini gialli dall’aspetto piuttosto comune: si tratta dell’hieracium australe. Germoglia spontaneamente solo sulle mura del Castello Sforzesco ed è una specie endemica del capoluogo lombardo, che cresce solo qui: non lo si trova in nessun’altra parte del mondo. È quanto emerge dall’ultimo aggiornamento dell’inventario della flora spontanea italiana, che tuttavia segna un dato tristemente negativo. La specie floreale spontanea unica al mondo è molto fragile. Fino a poco tempo fa non era l’unica ad avere questo primato: nell’aggiornamento del 2018, infatti, condivideva la sua unicità con l’hieracium tolstoii, un’altra specie endemica del capoluogo lombardo. Nel corso della nuova analisi, è emerso che quest’ultimo fiore è ormai andato perduto per sempre, perché probabilmente qualcosa nel suo habitat è cambiato.





A registrarlo è l’inventario aggiornato della flora spontanea italiana, curato dal Museo di Storia Naturale di Milano, costituito da team internazionale di 45 botanici coordinati da Gabriele Galasso, da Fabrizio Bartolucci e Fabio Conti (del Centro Ricerche Floristiche dell’Appennino) e da Lorenzo Peruzzi (del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa). e disponibile online sul Portale della Flora d’Italia. La ricerca aveva come obiettivo l’individuazione di tutte le piante spontanee, siano esse endemiche, autoctone, aliene oppure estinte, presenti in Italia.





Secondo gli esperti, anche l’hieracium australe sarebbe in pericolo. Il suo fiore giallo somiglia a quello del tarassaco, il classico “soffione” che si trova comunemente nei prati, ma, a differenza di quest’ultimo, ne restano ormai pochissimi esemplari a Milano e il cambiamento climatico, le specie aliene e l’erosione del suolo li starebbero mettendo a repentaglio.






I risultati della ricerca sono decisamente interessanti: le piante e i fiori che crescono spontaneamente fanno del nostro Paese un vero unicum, ponendolo al primo posto in Europa per la ricchezza della sua biodiversità, seconda solo alla Turchia, considerando l’habitat del Mediterraneo. In Italia crescono in totale 10.023 tipi di piante: di queste, 1702 sono endemiche, germogliano quindi solo qui. Le specie autoctone (che, a differenza delle endemiche, sono originarie dell’area in cui vivono, ma non necessariamente confinate solo in questa) risultano ad oggi 8.241, mentre le specie aliene, piante e fiori trasferite dall’uomo al di fuori del loro areale naturale, ammontano a 1782. Confrontando i dati con l’ultimo aggiornamento dell’inventario, fatto nel 2018, risultano 46 specie autoctone in più e un aumento di ben 185 specie aliene. Le estinte passano da 26 a 28: tra queste c’è una delle due specie esclusive delle mura del Castello Sforzesco.


Preservare questo patrimonio botanico, non è affatto semplice. Diversi fattori contribuiscono a minare la sopravvivenza delle nostre specie spontanee: le piante aliene, che sono in continuo aumento, il cambiamento climatico e il consumo di suolo sono i motivi principali di preoccupazione per gli esperti. Per quanto riguarda le specie aliene, ormai arrivano in Italia in una miriade di modi diversi. “Sono importate dall’uomo in alcuni casi in maniera diretta, per usi alimentari o ornamentali, o indiretta, con spore che restano negli imballaggi, nelle zolle di terra, nei vestiti, nelle chiglie delle barche” - ha dichiarato il professor Galasso. “Servirebbero regole più stringenti. L’Unione Europea ha fatto un regolamento che introduce il divieto di commercializzazione di alcune specie, ma i controlli sono difficili e spesso la prescrizione viene aggirata acquistando online”.














view post Posted: 23/4/2024, 14:12 by: Milea     +1Milano insolita e segreta [FOTO] - VIAGGI & NATURA

Il parco “Boscoincittà”:
una meraviglia da vedere


Primo esempio di forestazione urbana in Italia



Ci sono i boschi delle favole, e poi c’è un bosco dentro la città. La meraviglia di questo luogo sta nel fatto che, pur essendo nell’area urbana di Milano, è di fatto un’oasi naturale ben tenuta e, se non fosse per il rumore in lontananza della tangenziale, sembrerebbe di essere in un altro mondo, curato ma “selvaggio”.


Realizzato a partire dal 1974 dall’associazione Italia Nostra (su terreni concessi dal Comune di Milano) “Boscoincittà” oggi è un parco pubblico di 120 ettari, nella parte ovest del capoluogo meneghino, in una zona agricola in stato di abbandono contenente la Cascina San Romano ormai in rovina.


Situato nell’area ovest di Milano, è formato da 110 ettari di boschi, radure, prati, sentieri, corsi d’acqua, zone umide, orti urbani (assegnati a cittadini che li coltivano con grande cura), un laghetto, un giardino d’acqua, un apiario, un frutteto e un antico edificio rurale, la cascina San Romano, che ora, recuperata e ricostruita dopo un incendio nel 1971, ne costituisce il centro operativo. Le linee progettuali sono state studiate dagli architetti Ratti, Bacigalupo e Crespi, secondo una metodologia flessibile e modificabile nel corso del tempo in base alle esigenze, metodologia che in seguito sarà definita di “Forestazione urbana”.





Questo parco, molto amato e frequentato, si trova in via Novara, nei pressi dello Stadio di San Siro, all’interno del vasto perimetro del Parco agricolo sud Milano ed è facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici. Chi arriva al Bosco ha la sensazione di essere lontano dalla frenesia della vita urbana e di immergersi nella natura, in un ambiente che in realtà è il risultato di un’attenta progettazione. Quotidianamente viene coltivato e curato dagli operatori del Centro per la forestazione urbana di Italia Nostra e da chiunque abbia voglia di dare una mano.


La vegetazione. Dai 35 ettari iniziali, in cui sono state messe a dimora 30.000 piante donate dall’Azienda Forestale dello Stato, nel corso degli anni il parco si è progressivamente ampliato. Oggi ospita una vegetazione ricca di alberi, arbusti, fiori e vegetazione spontanea. La parte boschiva è nettamente prevalente rispetto alla superficie totale. Il parco è attraversato da diversi fontanili che lo percorrono e si intrecciano fino a formare un piccolo lago. Recentemente è stata realizzata una zona “umida” con una sequenza di bacini d’acqua.











Il lago progettato da un gruppo di naturalisti e forestali allo scopo di migliorare il microclima favorendo lo sviluppo della flora e della fauna acquatica e terrestre. È stato realizzato anche un pontile sospeso sulle acque dotato di panchine da cui ammirare il paesaggio.





Tra le principali specie arboree si segnalano: aceri di monte (Acer pseudoplatanus), aceri campestri (Acer campestre), ontani, carpini, frassini, querce americane (Quercus rubra), salici, olmi, rose botaniche e molti altri arbusti da fiore. Nel parco prosperano le specie tipiche dei terreni umidi poiché nel suo territorio vi abbonda l’acqua, fornita da diversi fontanili che si intrecciano per formare un piccolo lago. E’ stata di recente realizzata una zona umida, grazie ad una sequenza di bacini d’acqua e il Giardino d’Acqua.


Gli itinerari per correre nel parco sono molto numerosi. Da non perdere la Cascina San Romano (XV secolo): concepita originariamente come dimora signorile, è un centro organizzativo di attività agricolo-zootecniche. Nella Cascina c’è inoltre l’Area delle feste attrezzata con tavoli e panche. Ê consentito grigliare, da aprile a ottobre, esclusivamente sulle postazioni braciere. Per poter fruire di tavoli e bracieri è necessaria la prenotazione (griglia e carbonella devono essere portate dagli utilizzatori). All’interno della cascina, la “Biblioteca verde”, nata con l’obiettivo di raccogliere libri, documenti e articoli concernenti il verde pubblico, l’ambiente e l’agricoltura.



Apertura
7.30 (dicembre e gennaio 8.30). Chiusura: 17.00 (dicembre e gennaio) 17.30 (novembre), 18.30 (febbraio), 19.00 (marzo e novembre), 20.00 (da aprile a settembre)

Accessi
Via Novara (dai 2 parcheggi), da Figino (sentiero), da Parco Trenno (sentiero). Da fuori Milano: Tangenziale Ovest di Milano, uscita S. Siro, via Novara all’altezza dell’incrocio con via S. Romanello.
Parcheggi: n°2 lungo via Novara.


Come arrivare
Da MM1 De Angeli bus 72, fermata S. Romanello.
in auto: Tangenziale Ovest uscita San Siro (direzione Milano 3° semaforo)





Edited by Milea - 25/4/2024, 11:40
view post Posted: 22/4/2024, 07:11 by: Costantine Rose     +1Il monologo di Scurati per il 25 Aprile censurato dalla Rai [TESTO INTEGRALE] - NEWS


Il rozzo tentativo di censura della Rai, lottizzata da questo governo di nostalgici ha sortito l'effetto opposto: il monologo di Scurati viene letto e riproposto ovunque...Dei geni, oltre che dei nostalgici della storia peggiore del Novecento!



Edited by Milea - 25/4/2024, 08:50
view post Posted: 15/4/2024, 17:28 by: Milea     +1Milano insolita e segreta [FOTO] - VIAGGI & NATURA

Le bellezze della “Ca’ Brutta”
di Giovanni Muzio




La “Ca’ Brutta” è un grande edificio residenziale dell’inizio del XX secolo situato in via della Moscova all’angolo con piazza Stati Uniti d’America e via Turati, che crea un certo disorientamento per la sua apparente disorganizzazione. All’epoca la zona era piena di villini. Fu dunque già rivoluzionario immaginare un progetto che modificava l’impianto urbanistico del quartiere.


Progettato dall’architetto Giovanni Muzio viene da molti considerato il manifesto architettonico del movimento artistico “Novecento” che, dopo le sperimentazioni futuriste e cubiste, promuoveva un ritorno all’ordine e alla purezza delle forme. Muzio progettò “Ca’ Brutta” assecondando l’esigenza di creare ambienti che sfruttassero in modo ottimale sia l’aria che la luce. I tetti vennero concepiti con ampie terrazze e giardini pensili. La sua costruzione, iniziata nel 1919, venne portata a termine nel 1923.





Non appena furono tolte le impalcature iniziarono le critiche dei conservatori, per via della sua architettura in contrasto con i canoni dell’epoca: era un edificio troppo moderno, troppo “pulito” dove gli elementi classici erano stati usati con eccessiva disinvoltura, un brutto esempio di architettura, una “Ca’ Brutta”, come ben presto venne soprannominata dai milanesi, che criticarono aspramente un edificio in aperta rottura con gli stili dell’epoca, legati ancora al Liberty.


Il fabbricato era più alto e più ampio di ogni altra costruzione dell’area, ed era costituito da due corpi edilizi, separati e attraversati da una strada privata, accorgimento grazie al quale è stato possibile dare più luce e aria agli appartamenti con affaccio interno. Solo dopo la reazione negativa dell’amministrazione comunale, si decise di unirli tramite un arco creando un’unica entità architettonica, per dare continuità alla costruzione.


I due corpi del complesso residenziale non sono solo separati, ma anche diversi: uno è in linea e l’altro a corte. A unificarli è la facciata esterna, sorprendente per l’uso di materiali diversi: i primi due piani sono stati realizzati in travertino, i successivi tre sono in cemento e l’ultimo piano è in stucco vicentino con calce viva e marmi, sormontato da una fila di terrazze.





Anche la stampa infierì, definendo la costruzione una “squinternata fantasia di architetto”. Secondo i detrattori, gli elementi classici erano stati usati in maniera incomprensibile, al servizio di un’idea estetica che contrastava con il gusto dominante. Il quotidiano “Il Secolo” descrisse l’edificio con queste parole: “Pare di vedere in sogno uno di quegli stranissimi quadri cubisti, nei quali dopo un certo tempo, neppure l’artista ci capisce più nulla e là dove manca la capacità di tracciare una linea diretta e un segno armonioso, supplisce la metafisica”.


Naturalmente c’era anche chi la pensava in maniera opposta: i Novecentisti la consideravano una novità rivoluzionaria che avrebbe aperto le porte a nuovi orizzonti. Per Giovanni Muzio, giovane architetto alla sua prima opera, l’edificio residenziale fu una sorta di manifesto. Il progettista aderì al movimento artistico “Novecento”, che voleva tornare alla purezza delle forme dopo le ardite sperimentazioni delle avanguardie futurista e cubista, ma risentì anche delle esplorazioni pittoriche dell’arte metafisica di Mario Sironi e Carlo Carrà. Da lì in avanti le sue costruzioni, come l’Università Cattolica e il Palazzo dell’Arte sede della Triennale, avrebbero seguito gli stessi dettami. La tanto criticata “Ca’ Brutta” ha tuttavia un primato: fu il primo edificio di Milano ad avere un garage sotterraneo riservato ai suoi inquilini, a cui si accede tramite un montacarichi.



view post Posted: 15/4/2024, 06:58 by: SueMebitch     +1Un aforisma al giorno - ANGOLO LETTURA



Passare il tempo a costruire arsenali
anziché diffondere libri è deleterio,
forse letale, per la nostra specie.


(Gino Strada)

view post Posted: 11/4/2024, 13:49 by: Milea     +1Milano insolita e segreta [FOTO] - VIAGGI & NATURA

La Chiesa Ortodossa dei Santi Sergio,
Serafino e Vincenzo martire


Il luogo di culto più “corto” di Milano,
ma al tempo stesso quello con il nome più lungo




Passeggiando dalle parti di Piazza Benedetto Cairoli, all’angolo tra via Giuliani e via Porlezza, ci si può imbattere in quella che i milanesi hanno imparato a chiamare con il nome di “chiesa più corta della città”, talmente stretta che si stenta a credere che possa accogliere delle funzioni. Nonostante i soli settantadue metri quadrati calpestabili, la chiesa viene utilizzata regolarmente dalla comunità ortodossa meneghina per messe, liturgie, feste religiose e momenti di preghiera.







È intitolata ai santi Sergio, Serafino e Vincenzo martire e le sue dimensioni sono talmente ridotte da raggiungere il record di Milano. La particolare forma della chiesa, con la facciata alta dodici metri e la superficie ridotta, è da attribuirsi alle vicende storiche dell’edificio. Sorge non lontano dalla chiesa di San Vincenzino alle Monache, demolita nel 1964 per liberare proprio il tratto di via Giulini compreso tra via Camperio e via Porlezza.


Il preesistente spazio religioso, di cui la chiesa Ortodossa dei Santi Sergio, Serafino e Vincenzo Martire è una parte restante, risale come prima fondazione al 756 come “Monasterium novum” per poi essere riedificata come Chiesa di San Vincenzino intorno al 1500. L’edificio, dopo la soppressione del convento nel 1798 ha avuto diversi usi come magazzino di granaglie, studio di pittori, officina e cinema, per poi essere demolito.


La sua facciata di colore giallo acceso, in netto contrasto con il grigiore dei palazzi circostanti, risale agli anni Sessanta, quando l’edificio, eretto nel 756 d.C., venne ristrutturato e rafforzato nella sua struttura portante. Divenuta luogo di culto solo a seguito della Rivoluzione Francese, la chiesa più corta di Milano è stata utilizzata per secoli come monastero di suore e frati milanesi.


All’interno della chiesa ortodossa l’altare, separato da un’iconostasi, è posto alla destra del portone d’ingresso. Coperti dalle rappresentazioni della comunità russa, si trovano inoltre ancora alcuni affreschi dell’antica chiesa, emblema di una storia della città tutta da scoprire.

















view post Posted: 7/4/2024, 16:35 by: Milea     +1FAMIGLIA POVERA (LA CARITÀ) - Bouguereau

Bouguereau_CharityP

William-Adolphe Bouguereau (1825-1905)
Famiglia povera (La carità)
(The indigent Family - Charity)
1865
olio su tela - 121,9 x 152,4 cm.
Birmingham Museum and Art Gallery, Birmingham


Splendido esempio di pittura da Salon, “Famiglia povera” ben rappresenta lo stile accademico alle prese con un soggetto di scottante attualità: l’infelice situazione delle classi meno abbienti. Accenti realistici, ma di un naturalismo attenuato che non intende emanciparsi dalla cifra stilistica imposta dall’Accademia, si riscontrano in numerosi artisti dell’epoca. Le opere sviluppano un tema già caro al Romanticismo: la riflessione sulla potenza non sempre benigna di madre natura si traduce secondo l’estetica di un Realismo sociale, dai toni drammatici e teatrali e dal sapore dolciastro. Un gusto che caratterizza molte opere del tempo, nelle quali la questione sociale si colora di tinte melodrammatiche, che sanno far leva sulle corde del cuore della borghesia, affascinando anche un pubblico non certo incline alle tesi socialiste.


Bouguereau, pittore di indiscutibile talento, mette in scena un’immagine finalizzata alla commozione dell’osservatore, in cui tutto, dallo sfondo agli atteggiamenti dei personaggi, è studiato per toccare le corde più profonde del cuore dello spettatore. In questa opera monumentale, esposta per la prima volta al Salon di Parigi del 1865, Bougereau presenta una donna con tre figli rannicchiati contro il portico della chiesa della Madeleine a Parigi. Con la sua composizione piramidale fortemente centralizzata e il suo punto di vista basso, il dipinto è concepito come una pala d’altare, con la madre che diventa una sorta di madonna secolare.


Bouguereau mette in scena la sua famiglia di poveri e senza casa, con a destra sullo sfondo il Palazzo dei Conservatori di Michelangelo in Roma. L’imponente edificio signorile accentua, per contrasto, la povertà della famiglia in primo piano.


L’espressione implorante, ma composta, della madre, la dolcezza della bimba che le si appoggia stanca e in cerca di conforto, la serenità del neonato, che ancora non ha coscienza delle privazioni della vita di strada, la rassegnazione del figlio maggiore, abbandonato ai piedi della madre e l’assenza della figura paterna, delineano uno spaccato di vita quotidiana assai famigliare ai benestanti parigini.








La tela offre uno spunto per un interessante confronto con un’opera di soggetto simile realizzata anni prima da Honoré Daumier: “Il vagone di terza classe”.



Honoré Daumier
Il vagone di terza classe (The Third-Class Carriage)
1862
olio su tela - 67 x 93 cm.
Ottawa, National Gallery of Canada



Allo schietto realismo di Daumier, che ritrae con disarmante pragmatismo una famiglia simile nella composizione e appartenenza sociale, si contrappone lo stile edulcorato e levigato di Bouguereau, che abbandonata ogni velleità di denuncia sociale e, accentuati gli aspetti più pietosi, trasforma la scena in un melodramma ad uso e consumo delle classi alte. (M.@rt)










view post Posted: 4/4/2024, 18:41 by: Milea     +1GIOVANE RAGAZZA CHE LEGGE IL CORANO - Osman Hamdi Bey - ARTISTICA

“Il più parigino degli ottomani, il più ottomano dei parigini”.


osman-hamdi-bey-Girl-Reciting-QuranP

Osman Hamdi Bey
Giovane ragazza che legge il Corano (Girl reciting Qur’an)
1880
olio su tela - 41,1 x 51 cm.
Collezione privata


La natura caleidoscopica della vita di Osman Hamdi e la sua posizione di rilievo nei circoli intellettuali francesi e ottomani di fine Ottocento lo hanno reso un simbolo controverso del nazionalismo turco e della riforma culturale. Nella sua veste di pittore orientalista, inoltre, è stato a lungo considerato una curiosità all'interno del genere: troppo turco per alcuni, troppo francese per altri. Particolare attenzione è stata rivolta ai quadri di harem dell’artista, che ritraggono una o più donne impegnate nelle loro attività quotidiane, interpretati sia come commenti puntuali sulle idee sbagliate sull’istituzione dell'harem in Occidente sia come documenti affidabili di un “insider” dell’Oriente. Al contempo i dettagli reali di queste composizioni sono stati spesso ignorati. Tornando al loro soggetto e al contesto delle loro origini è possibile ottenere una comprensione più storica e informativa di queste immagini, come in una delle prime e più rappresentative immagini di harem, la “Giovane donna che legge” rappresenta un caso particolarmente importante e rivelatore.



Conosciuta più comunemente come “Giovane ragazza che legge il Corano”, mostra molte delle qualità per cui Osman Hamdi è diventato famoso: l'abito impeccabile della figura inginocchiata e lo sfondo decorativo in cui è inserita, ricco di colori e disegni islamici, sono caratteristiche assolute dell'artista, così come la sorprendente chiarezza dello stile altamente dettagliato del quadro. La precisione della sua superficie, tuttavia, nasconde significative ambiguità al suo interno: Il libro che la donna ha scelto, la direzione del suo sguardo, persino la separazione delle labbra e i bottoni al collo, sono tutti elementi che servono a minare le nostre prime impressioni sulla scena. Quello che inizia come un grazioso quadro di harem, in altre parole, diventa un testo complicato e multi-referenziale che affronta una varietà di questioni di attualità all’interno dei confini dell’orientalismo, della storia dell’arte del XIX secolo e degli aspetti della stessa biografia dell’artista. Attraverso la trasposizione di modelli britannici, francesi e turchi e la manipolazione dei loro temi, “Giovane ragazza che legge” dimostra la natura unica dell’orientalismo di Osman Hamdi e il suo gusto artistico.


La formazione artistica di Osman Hamdi iniziò a Parigi nei primi anni Sessanta del XIX secolo, nell’atelier di Gustave Boulanger e sotto la probabile influenza di Jean-Léon Gérôme, la cui arte e presenza come insegnante dominavano il mondo artistico parigino dell’epoca. Osman Hamdi , uno dei primi artisti ottomani a creare un ponte tra i mondi artistici della Turchia e della Francia e ad adottare lo stile figurativo accademico dell’École, fece da modello per Boulanger prima di iscriversi formalmente come studente nel suo atelier.

L’impatto di entrambi i maestri è evidente nello stile e nel soggetto dei quadri di Osman Hamdi, che rispecchiano, per molti aspetti, i soggetti orientalisti che riscuotevano tanto successo in Europa all’epoca. Negli anni Ottanta dell’Ottocento, l’artista iniziò a realizzare una serie di quadri di harem, uno dei temi più popolari e seducenti. Tuttavia, nelle mani di Osman Hamdi, le atmosfere e gli abitanti di questi spazi storici si trasformano in modo significativo e pregnante.


Nel quadro l’erotismo familiare dell’harem è mitigato dalla figura femminile impettita e dalla sua posa compatta e chiusa in se stessa. Collocato nella stanza come una bambola di carta appiattita, il suo corpo diventa meno attrattivo e vitale rispetto ai motivi colorati disposti contro la parete di fondo. Questa enfasi sugli aspetti formali della composizione, così come l’importanza e l’intricatezza del tessuto e del vestito, ricorda i quadri di harem del pittore britannico John Frederick Lewis, di cui Osman Hamdi forse conosceva le celebri opere ampiamente riprodotte.


Anche le immagini di ragazze e donne che leggono sarebbero state familiari a Osman Hamdi nella sua patria d’adozione, Parigi, anche se i soggetti erano decisamente più osé. In particolare negli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento, con i cambiamenti nella forza lavoro e la ricerca di attività per il tempo libero in aumento, le preoccupazioni per l’alfabetizzazione femminile, l’accesso al giornalismo e l’influenza corrosiva di certi libri sulle menti di giovani ragazze impressionabili, portarono a un’ondata di immagini dipinte di liseuse, o lettrici, in una varietà di ambienti e stili. Tra le opere che affollavano i Salon e le pareti delle gallerie c’erano quelle che ritraevano donne che leggevano poesie, forse il più “pericoloso” dei generi. Con il suo interesse per l’amore e il dramma, la poesia era considerata un tipo di studio più viscerale di quello che altre forme di lettura richiedevano o consentivano: dinoccolate in un mite abbandono, con le labbra aperte nella recitazione dei versi, i soggetti femminili di queste immagini erano decisamente più sensuali che morali o benevoli. Nella trasposizione di Osman Hamdi di questa tendenza, viene mantenuta un’aria di gentile provocazione, anche se sotto una patina di semplicità.


Nella trasposizione di Osman Hamdi di questa tendenza, viene mantenuta una certa atmosfera di lieve provocazione, anche se sotto una patina di semplicità. La giovane donna è inginocchiata davanti a un libro aperto, posto su un supporto di legno intarsiato. La schiena è eretta, gli occhi abbassati e le mani poggiano delicatamente sulle cosce. La copertina del libro è protetta da una stoffa floreale delicatamente ricamata, a suggerire il suo valore e l’importanza della sua custodia. La posizione elevata del libro e la presenza di un tappeto da preghiera (in turco seccade) suggeriscono che si tratta di un testo religioso, probabilmente il Corano. Anche la somiglianza della posa della giovane donna con quella di altre figure dell’opera di Osman Hamdi, più chiaramente impegnate in atti di devozione, e l’arabesco sinuoso del fumo profumato che fuoriesce da un bruciatore di incenso posto nelle vicinanze, sottolineano gli aspetti religiosi del tema.


Come ha osservato il noto studioso Edhem Eldem, tuttavia, “[Una] visione parziale della pagina aperta dice il contrario. Lo stile calligrafico taliq non è stato utilizzato per il Corano e le poche parole che si possono decifrare confermano questa discrepanza. Nell’ultima riga si legge ‘az ān’, che in persiano significa ‘da questo’. Questo farebbe pensare a un volume di poesie, ma un formato così grande con solo quattro righe di appena quattro o cinque parole ciascuna [rende anche questo] altamente improbabile. Con ogni probabilità si tratta di scarabocchi ‘decorativi’, destinati ai clienti prevalentemente stranieri dell’artista. Questa interpretazione è ulteriormente rafforzata dal fatto che la parola sulla seconda riga recita ‘Hamdi’, il nome [dell'artista], un trucco scherzoso a cui spesso ricorreva per inserire il suo nome nella scrittura araba in dipinti che firmava quasi esclusivamente in francese.”


I numerosi riferimenti moderni a questo quadro come “Giovane ragazza che legge il Corano”, quindi, sono stati fuorvianti: piuttosto che un’immagine di devozione, l’artista si è cimentato in un gioco. La discrepanza significativa che Eldem osserva in “Giovane donna che legge”, segnalata dal libro, si scopre anche altrove nella composizione. I dettagli architettonici, gli accessori, i tessuti e gli oggetti esotici ricorrono regolarmente nelle sue opere, suggerendo che il rapporto tra documentazione e immaginazione è più complesso di quanto sembri. È importante notare in questo contesto che i dipinti di Osman Hamdi sono stati esposti raramente, se non mai, nella sua nativa Turchia, dove tali incongruenze avrebbero potuto essere più facilmente osservate.


Il sorprendente motivo geometrico delle grate metalliche della finestra aperta, è simile a quelli presenti sul lato destro di “Donne che passeggiano” (1887, Collezione Yapi Kredi Bankasi) e di “Donne all’ingresso della moschea di Sultan Ahmed” (Collezione Erol Kerim Aksoy), nonché a quelli di “Due ragazze musiciste” , mentre la distesa quasi ipnotica di piastrelle esagonali bianche e blu, ispirata agli esempi presenti nelle collezioni dei musei locali e a quelli osservati in situ al Palazzo Topkapi e alla Moschea Verde (Yeşil Cami) di Bursa, riappare in “Quattro schiave” (1880, Collezione Erol Kerim Aksoy), con un effetto altrettanto abbagliante.


Anche il vestito giallo brillante della donna è una presenza familiare nelle opere di Osman Hamdi di questo periodo, essendo presente in “Gathering Lilacs” (1881, collezione privata) e “Young Woman Standing” (1884, collezione privata). La sua ripetizione crea un ulteriore legame tra i soggetti dei suoi quadri e allude a un intrigante filo narrativo.

La cura con cui l’abbigliamento è reso nell’arte di Osman Hamdi è significativa per ragioni che vanno anche al di là dei quadri. La moda femminile a Costantinopoli era in continua evoluzione e cambiamento fin dagli anni Cinquanta del XIX secolo. Le riviste di moda francesi erano ampiamente diffuse - anche all’interno dell’harem - e gli abiti venivano ordinati direttamente da Parigi o commissionati alle sarte di Pera, per riprodurne gli stili. Man mano che gli elementi della moda europea venivano adottati in modo selettivo e combinati con gli abiti tradizionali turchi, emergeva uno stile ibrido, che non era conforme all’immaginario esotico degli artisti e dei viaggiatori europei e che quindi veniva spesso omesso dalle loro opere. Le numerose immagini di Osman Hamdi che ritraggono donne turche che sfoggiano l’attualità degli abiti da interno e da esterno, e la giovane donna della tela in esame, sono ancora più importanti per la loro fedele testimonianza dei cambiamenti che stavano avvenendo. Ciò è particolarmente evidente nelle opere di Osman Hamdi degli anni Ottanta e Novanta del Novecento, in cui le tradizionali cappe sartoriali delle donne turche, o i mantelli da esterno, punteggiano le sue tele con i colori e la vivacità introdotti di recente. Attraverso questa cronaca delle realtà sartoriali, le immagini di Osman Hamdi possono essere viste sia come il progetto di un etnografo di recupero, desideroso di immortalare le vestigia rimaste, sia come quello di un giornalista, in prima linea sul fronte della moda e dello stile.


Paradossalmente, data l’attenzione di Osman Hamdi per l’attualità, testimoniata dall’abbigliamento e dai vestiti, gli ambienti all’interno delle sue immagini sono spesso senza tempo, immobili e fermi. Basati su vari esempi di architettura mamelucca e ottomana e messi insieme dalle sue vaste collezioni di fotografie e stampe, questi vuoti simili a collage evocano l’atmosfera di un museo, in cui lo spettatore è un ospite privilegiato e ben educato. Questa impressione è rafforzata dalle esposizioni di prodotti artigianali e locali che si trovano all’interno delle loro pareti.

Calma, fredda e raccolta, la lontananza priva di emozioni della figura della “Giovane donna che legge” trasmette un messaggio paragonabile a quello della moderazione e del rimprovero. Gli occhi sono abbassati, la postura è rigida e le labbra, nonostante siano aperte, non invogliano né tentano. Sebbene le sue origini possano risalire alle immagini di harem di Gérôme e Boulanger e alle immagini contemporanee di lettrici in Gran Bretagna e in Francia, Osman Hamdi ha trasformato questa donna in qualcosa di molto nuovo. È l’anti-odalisca, la bambina innocente ormai matura e la donna turca progressista. L'interesse dell'artista per questo soggetto è testimoniato dalla sua ricorrenza nella sua arte, in varie declinazioni nel corso degli anni. (M.@rt)




view post Posted: 3/4/2024, 21:17 by: Milea     +1L'ADDESTRATORE DI TARTARUGHE - Osman Hamdi Bey - ARTISTICA


Gebzede_oban_Mustafa_Paa_KlliyesiP

Osman Hamdi Bey
Complesso Çoban Mustafa Pasha a Gebze ( Gebze’de Çoban Mustafa Paşa Külliyesi)
(Çoban Mustafa Paşa Complex in Gebze)
1880 circa
olio su tela - 27 × 33,5 cm.
Istanbul, Museo Pera


Il dipinto raffigura il palazzo (külliye) Çoban Mustafa a Gebze, costruito dal celebre architetto ottomano Mimar Sinan nel XVI secolo; sono visibili le cupole e i minareti della moschea del complesso. Oltre alla moschea, Il külliye comprende una cucina, una madrasa ( una specie di convitto musulmano ove si impartiscono insegnamenti di religione e diritto) alcune tombe,una loggia, una biblioteca, un caravanserraglio e un bagno (hamam). Çoban Mustafa Paşa servì come capitano e sposò Hafsa Sultan, sorella di Solimano il Magnifico. Sebbene non si conosca la data esatta di realizzazione dell’opera, si pensa che sia stata dipinta intorno al 1880. Partecipò alle campagne di Belgrado e di Rodi. Morì nel 1529 quando stava per partire per la campagna di Vienna; il suo corpo fu sepolto nella tomba del complesso di Çoban Mustafa Pasha a Gebze. Osman Hamdi Bey dipinse anche il complesso di Çoban Mustafa Pasha e la sua tomba.


L’interesse di Osman Hamdi Bey per Gebze risalirebbe alla villa del padre a Eskihisar. Negli ultimi tempi dell’Impero Ottomano, Gebze e i villaggi circostanti erano tra le località estive preferite, soprattutto dai membri di alto rango dell’amministrazione. Anche il padre di Osman Hamdi Bey possedeva una villa nel villaggio di Eskihisar. Osman Hamdi Bey scoprì Eskihisar quando visitò la villa del padre a Gebze; in gioventù acquistò qui ventotto acri di terreno.

Nel 1884 costruì una villa in questa splendida baia sul mare. L’edificio, il cui progetto era stato disegnato da lui stesso, presenta tracce dell’architettura francese. I materiali tecnici come le piastrelle, i mattoni e le parti in legno dell’edificio furono portati via nave da Lione, in Francia. Osman Hamdi, che amava molto Eskihisar, veniva in questa casa con la sua famiglia non appena era libero dai suoi studi ufficiali e scientific, trascorrendo il suo tempo dipingendo nel giardino e nell’atelier di pittura. Osman Hamdi Bey trascorse quasi tutte le estati per ventisei anni della sua vita nel villaggio di Eskihisar dal 1884. Osman Hamdi Bey non smise mai di dipingere mentre continuava i suoi studi museali e archeologici. Di solito realizzava i suoi quadri durante i mesi estivi che trascorreva a Eskihisari; qui realizzò i suoi dipinti più famosi.

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Osman Hamdi Bey
Gebze'den Manzaralar
1881
olio su tela - 72 x 119 cm
Museo Statale di Pittura e Scultura, Istanbul



Oltre al Complesso di Çoban Mustafa Pasha a Gebze, che è uno dei dipinti più importanti, c’è anche un dipinto intitolato “Paesaggi di Gebze” (Gebze’den Manzaralar) in cui raffigura Gebze. Inoltre, ognuno dei bellissimi dipinti floreali che dipinse sulle porte di legno del piano d’ingresso della Osman Hamdi Bey Mansion nel 1901-1903 ha un valore artistico pari a quello dei dipinti sopracitati.

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Osman Hamdi, che fu pittore, archeologo, museologo e scrittore, oltre che burocrate, diplomatico, amministratore e scienziato, lavorò instancabilmente fino alla fine della sua vita e morì nella sua villa di Kuruçeşme(Beşiktaş) il 24 febbraio 1910 dopo una breve malattia. La preghiera funebre si tenne nella Moschea di Santa Sofia e, in ottemperanza con le sue volontà, Osman Hamdi fu sepolto in una radura tra gli alberi dietro la casa colonica, che aveva costruito a Eskihisar e sopra di essa furono collocati ciste e sarcofagi del periodo selgiuchide portati dall’Anatolia.(M.@rt)



view post Posted: 3/4/2024, 19:28 by: Jane Morris     +1GIÒ E GIULIA - Una coppia di falchi pellegrini sul Pirellone [WEBCAM] - Animals


IL NIDO D'AMORE DI GIÒ E GIULIA
LA COPPIA DI FALCHI PELLEGRINI SUL PIRELLONE




Sorpresa di Pasquetta sul Pirellone: sono nati i primi due falchi pellegrini del 2024



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Mamma Giulia è ancora intenta a covare mentre papà Giò porta da mangiare ai primi due falchi pellegrini nati nel nido in cima al Pirellone. Sono i primi due pulli del 2024 della coppia di volatili che da dieci anni abita in cima al grattacielo simbolo di Milano Tutto è stato documentato con video e screenshot da parte degli utenti della community su Facebook ‘Giò&Giulia Falchi pellegrini a Milano’: il primo uovo si è schiuso ieri, 1° aprile, poco dopo le 21.30, mentre il secondo pullo ha messo fuori il becco questa mattina intorno alle 7.30. Una bella sorpresa per Pasquetta annunciata sui social dal presidente della Regione, Attilio Fontana: “Sono nati i primi due pulli del 2024 dei falchi pellegrini di Palazzo Pirelli. Un affascinante spettacolo di natura, quest’anno al deccimo anniversario da quando i due falchi, Giò e Giulia, hanno fatto del tetto del palazzo del Consiglio regionale della Lombardia il loro nido”, ha commentato.


Gli altri due sono ancora in attesa di uscire e in questi giorni più che mai i fan della famiglia di pennuti più amata di Milano fa a gara a chi scorge per primo un segno di nuova vita. Le ultime uova erano state deposte da Giulia intorno ai primi di marzo, in genere il tempo della cova dura da un minimo di ventotto a un massimo di trentacinque giorni. Al momento non si conosce il sesso dei due pulli, ma anche quest’anno oltre al consueto ‘totonomi’ - che è ormai diventato un evento social per dare il nome ai nuovi arrivati - si è tenuto anche il ‘totoschiusa’ per indovinare la data della schiusa del primo uovo: il vincitore riceverà un premio. Giò e Giulia quest’anno festeggiano il loro decimo anniversario milanese: è dal 2014, infatti, che frequentano il nido sul grattacielo a centoventicinque metri d’altezza, mentre è dal 2017 che vengono seguiti dagli appassionati attraverso la webcam attiva 24 ore su 24.
view post Posted: 3/4/2024, 17:12 by: Milea     +1L'ADDESTRATORE DI TARTARUGHE - Osman Hamdi Bey - ARTISTICA



Osman Hamdi Bey
Ragazza con il cappuccio rosa (Girl with pink cap)
giugno 1904
olio su tela - 50 x 40 cm.
Istanbul, Pera Museum


Nel dipinto, una ragazza vestita in stile occidentale, con un copricapo rosa, e l’abito e il grembiule in toni simili, in piedi in uno spazio aperto, con alle spalle della vegetazione. L’immagine mostra il ritratto delI’ultima figlia di Osman Hamdi Bey e Mary/Naile Hanàm, Nazlà (4 settembre 1893 e il 1 agosto 1958), all’epoca undicenne. Il ritratto si trova nella Collezione di pittura orientalista del Museo di Pera. (M.@rt)


view post Posted: 3/4/2024, 11:17 by: Milea     +1L'ADDESTRATORE DI TARTARUGHE - Osman Hamdi Bey - ARTISTICA

Ottoman_Lady_preparing_for_an_outingP

Osman Hamdi Bey
Donna ottomana, si prepara per un’uscita
(Ottoman Lady, preparing for an outing)
1880 circa
olio su tavola - 68 x 45 cm.
Collezione privata


Questo bellissimo ritratto di una donna che si prepara per una passeggiata fonde la pittura accademica occidentale con la sensibilità orientale. Osman Hamdi Bey è stato il primo pittore turco ad abbracciare pienamente lo stile pittorico occidentale: burocrate, archeologo, e direttore di museo fu uno dei pittori di maggior successo dell’Orientalismo, occupando una posizione di rilievo nella vita culturale turca della seconda metà del XIX secolo.


Come membro di una famiglia ottomana dell’alta borghesia, visse una vita molto orientata all’Occidente. Nel 1860 fu mandato a Parigi dalla sua famiglia per proseguire gli studi e lì decise di dedicarsi alla pittura, studiando arte sotto la supervisione dei famosi pittori orientalisti francesi Jean-Léon Gérôme e Gustave Boulanger. Nel 1869, dopo nove anni nella capitale francese, tornò a Istanbul. Dopo aver ricoperto diversi incarichi nella burocrazia ottomana, nel 1881 fu nominato direttore del Museo Imperiale Ottomano e poco dopo fondò l’Accademia di Belle Arti, che esiste ancora oggi a Istanbul come Università di Belle Arti Mimar Sinan.


Il dipinto in esame non è datato, ma si può ipotizzare che sia stato realizzato negli anni Ottanta del XIX secolo, poiché Hamdi ha raffigurato scene simili con donne in diverse opere di questo periodo.

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Osman Hamdi Bey
Dama turca di Costantinopoli
1881
Firmato e datato ‘81 in alto a sinistra
olio si tela -185 x 109 cm.
Collezione privata



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Si tratta di una veduta intima di una giovane donna dell’harem che si guarda allo specchio mentre si acconcia per uscire. Sembra provenire da un ambiente privilegiato e indossa un abito giallo/ocra, un esempio dell’interesse di Hamdi nel catturare la moda del suo tempo. La si vede mentre si lega il foulard, detto yemenita. Sul divano è appoggiato il suo caftano nero, un soprabito chiamato ferace, che veniva indossato sopra l’abito quando si era all’aperto. La stanza è decorata con un kavukluk, un porta-turbanti ottomano, posto in un angolo. La donna è inginocchiata su un cuscino ottomano di seta yastik, mentre il pavimento è coperto da una stuoia hasır. Dietro di lei è raffigurato un grande divano angolare blu rivestito di velluto ricamato a çatma, proveniente da Bursa.





Gli artisti orientalisti europei come Gérôme e Boulanger avevano non avevano possibilità di osservare la vita quotidiana orientale, non avendo accesso alle aree private, come l’harem. Ciò ha portato a raffigurare un Oriente immaginario e mistificato. Hamdi Bey costruì una rappresentazione più realistica della vita privata in Oriente, come nella presente tavola. (M.@rt)




view post Posted: 1/4/2024, 19:26 by: Milea     +1L'ADDESTRATORE DI TARTARUGHE - Osman Hamdi Bey - ARTISTICA




Osman Hamdi Bey
Due ragazze musiciste
1880
olio su tela - 58 x 39 cm.
Istanbul, Pera Museum


L’opera, realizzata dall’artista per essere inviata a una mostra, riflette l’approccio stilistico tipico della pittura accademica francese. Sebbene sia considerato un pittore orientalista, la percezione dell’Oriente di Osman Hamdi Bey è notevolmente diversa da quella degli artisti occidentali, in quanto, a differenza di essi che enfatizzavano la sensualità nelle loro figure femminili, nei dipinti di Osman Hamdi Bey le protagoniste sono spesso consapevoli del processo di occidentalizzazione nell’Impero Ottomano, così come delle loro identità e dei talenti individuali, e quindi aperte all’apprendimento e al loro sviluppo.


In molte opere di Osman Hamdi Bey, la donna ottomana è ritratta mentre suona uno strumento, legge o sistema i fiori in casa e appare sempre completamente vestita. In questo dipinto, che incorpora elementi architettonici della Moschea Verde di Bursa, oltre a strumenti musicali come il tambur (liuto) e il tamburello, elementi decorativi ottomani come tappeti, oggetti in legno, sculture in pietra e piastrelle completano l’approccio unico dell’artista all’identità femminile. (M.@rt)





Edited by Milea - 1/4/2024, 22:06
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