Posts written by Milea

view post Posted: 25/4/2024, 11:12     +2Un aforisma al giorno - ANGOLO LETTURA



La libertà è come l’aria.
Ci si accorge di quanto vale quando inizia a mancare.

( Pietro Calamandrei)







view post Posted: 23/4/2024, 14:12     +2Milano insolita e segreta [FOTO] - VIAGGI & NATURA

Il parco “Boscoincittà”:
una meraviglia da vedere


Primo esempio di forestazione urbana in Italia



Ci sono i boschi delle favole, e poi c’è un bosco dentro la città. La meraviglia di questo luogo sta nel fatto che, pur essendo nell’area urbana di Milano, è di fatto un’oasi naturale ben tenuta e, se non fosse per il rumore in lontananza della tangenziale, sembrerebbe di essere in un altro mondo, curato ma “selvaggio”.


Realizzato a partire dal 1974 dall’associazione Italia Nostra (su terreni concessi dal Comune di Milano) “Boscoincittà” oggi è un parco pubblico di 120 ettari, nella parte ovest del capoluogo meneghino, in una zona agricola in stato di abbandono contenente la Cascina San Romano ormai in rovina.


Situato nell’area ovest di Milano, è formato da 110 ettari di boschi, radure, prati, sentieri, corsi d’acqua, zone umide, orti urbani (assegnati a cittadini che li coltivano con grande cura), un laghetto, un giardino d’acqua, un apiario, un frutteto e un antico edificio rurale, la cascina San Romano, che ora, recuperata e ricostruita dopo un incendio nel 1971, ne costituisce il centro operativo. Le linee progettuali sono state studiate dagli architetti Ratti, Bacigalupo e Crespi, secondo una metodologia flessibile e modificabile nel corso del tempo in base alle esigenze, metodologia che in seguito sarà definita di “Forestazione urbana”.





Questo parco, molto amato e frequentato, si trova in via Novara, nei pressi dello Stadio di San Siro, all’interno del vasto perimetro del Parco agricolo sud Milano ed è facilmente raggiungibile con i mezzi pubblici. Chi arriva al Bosco ha la sensazione di essere lontano dalla frenesia della vita urbana e di immergersi nella natura, in un ambiente che in realtà è il risultato di un’attenta progettazione. Quotidianamente viene coltivato e curato dagli operatori del Centro per la forestazione urbana di Italia Nostra e da chiunque abbia voglia di dare una mano.


La vegetazione. Dai 35 ettari iniziali, in cui sono state messe a dimora 30.000 piante donate dall’Azienda Forestale dello Stato, nel corso degli anni il parco si è progressivamente ampliato. Oggi ospita una vegetazione ricca di alberi, arbusti, fiori e vegetazione spontanea. La parte boschiva è nettamente prevalente rispetto alla superficie totale. Il parco è attraversato da diversi fontanili che lo percorrono e si intrecciano fino a formare un piccolo lago. Recentemente è stata realizzata una zona “umida” con una sequenza di bacini d’acqua.











Il lago progettato da un gruppo di naturalisti e forestali allo scopo di migliorare il microclima favorendo lo sviluppo della flora e della fauna acquatica e terrestre. È stato realizzato anche un pontile sospeso sulle acque dotato di panchine da cui ammirare il paesaggio.





Tra le principali specie arboree si segnalano: aceri di monte (Acer pseudoplatanus), aceri campestri (Acer campestre), ontani, carpini, frassini, querce americane (Quercus rubra), salici, olmi, rose botaniche e molti altri arbusti da fiore. Nel parco prosperano le specie tipiche dei terreni umidi poiché nel suo territorio vi abbonda l’acqua, fornita da diversi fontanili che si intrecciano per formare un piccolo lago. E’ stata di recente realizzata una zona umida, grazie ad una sequenza di bacini d’acqua e il Giardino d’Acqua.


Gli itinerari per correre nel parco sono molto numerosi. Da non perdere la Cascina San Romano (XV secolo): concepita originariamente come dimora signorile, è un centro organizzativo di attività agricolo-zootecniche. Nella Cascina c’è inoltre l’Area delle feste attrezzata con tavoli e panche. Ê consentito grigliare, da aprile a ottobre, esclusivamente sulle postazioni braciere. Per poter fruire di tavoli e bracieri è necessaria la prenotazione (griglia e carbonella devono essere portate dagli utilizzatori). All’interno della cascina, la “Biblioteca verde”, nata con l’obiettivo di raccogliere libri, documenti e articoli concernenti il verde pubblico, l’ambiente e l’agricoltura.



Apertura
7.30 (dicembre e gennaio 8.30). Chiusura: 17.00 (dicembre e gennaio) 17.30 (novembre), 18.30 (febbraio), 19.00 (marzo e novembre), 20.00 (da aprile a settembre)

Accessi
Via Novara (dai 2 parcheggi), da Figino (sentiero), da Parco Trenno (sentiero). Da fuori Milano: Tangenziale Ovest di Milano, uscita S. Siro, via Novara all’altezza dell’incrocio con via S. Romanello.
Parcheggi: n°2 lungo via Novara.


Come arrivare
Da MM1 De Angeli bus 72, fermata S. Romanello.
in auto: Tangenziale Ovest uscita San Siro (direzione Milano 3° semaforo)





Edited by Milea - 25/4/2024, 11:40
view post Posted: 15/4/2024, 17:28     +3Milano insolita e segreta [FOTO] - VIAGGI & NATURA

Le bellezze della “Ca’ Brutta”
di Giovanni Muzio




La “Ca’ Brutta” è un grande edificio residenziale dell’inizio del XX secolo situato in via della Moscova all’angolo con piazza Stati Uniti d’America e via Turati, che crea un certo disorientamento per la sua apparente disorganizzazione. All’epoca la zona era piena di villini. Fu dunque già rivoluzionario immaginare un progetto che modificava l’impianto urbanistico del quartiere.


Progettato dall’architetto Giovanni Muzio viene da molti considerato il manifesto architettonico del movimento artistico “Novecento” che, dopo le sperimentazioni futuriste e cubiste, promuoveva un ritorno all’ordine e alla purezza delle forme. Muzio progettò “Ca’ Brutta” assecondando l’esigenza di creare ambienti che sfruttassero in modo ottimale sia l’aria che la luce. I tetti vennero concepiti con ampie terrazze e giardini pensili. La sua costruzione, iniziata nel 1919, venne portata a termine nel 1923.





Non appena furono tolte le impalcature iniziarono le critiche dei conservatori, per via della sua architettura in contrasto con i canoni dell’epoca: era un edificio troppo moderno, troppo “pulito” dove gli elementi classici erano stati usati con eccessiva disinvoltura, un brutto esempio di architettura, una “Ca’ Brutta”, come ben presto venne soprannominata dai milanesi, che criticarono aspramente un edificio in aperta rottura con gli stili dell’epoca, legati ancora al Liberty.


Il fabbricato era più alto e più ampio di ogni altra costruzione dell’area, ed era costituito da due corpi edilizi, separati e attraversati da una strada privata, accorgimento grazie al quale è stato possibile dare più luce e aria agli appartamenti con affaccio interno. Solo dopo la reazione negativa dell’amministrazione comunale, si decise di unirli tramite un arco creando un’unica entità architettonica, per dare continuità alla costruzione.


I due corpi del complesso residenziale non sono solo separati, ma anche diversi: uno è in linea e l’altro a corte. A unificarli è la facciata esterna, sorprendente per l’uso di materiali diversi: i primi due piani sono stati realizzati in travertino, i successivi tre sono in cemento e l’ultimo piano è in stucco vicentino con calce viva e marmi, sormontato da una fila di terrazze.





Anche la stampa infierì, definendo la costruzione una “squinternata fantasia di architetto”. Secondo i detrattori, gli elementi classici erano stati usati in maniera incomprensibile, al servizio di un’idea estetica che contrastava con il gusto dominante. Il quotidiano “Il Secolo” descrisse l’edificio con queste parole: “Pare di vedere in sogno uno di quegli stranissimi quadri cubisti, nei quali dopo un certo tempo, neppure l’artista ci capisce più nulla e là dove manca la capacità di tracciare una linea diretta e un segno armonioso, supplisce la metafisica”.


Naturalmente c’era anche chi la pensava in maniera opposta: i Novecentisti la consideravano una novità rivoluzionaria che avrebbe aperto le porte a nuovi orizzonti. Per Giovanni Muzio, giovane architetto alla sua prima opera, l’edificio residenziale fu una sorta di manifesto. Il progettista aderì al movimento artistico “Novecento”, che voleva tornare alla purezza delle forme dopo le ardite sperimentazioni delle avanguardie futurista e cubista, ma risentì anche delle esplorazioni pittoriche dell’arte metafisica di Mario Sironi e Carlo Carrà. Da lì in avanti le sue costruzioni, come l’Università Cattolica e il Palazzo dell’Arte sede della Triennale, avrebbero seguito gli stessi dettami. La tanto criticata “Ca’ Brutta” ha tuttavia un primato: fu il primo edificio di Milano ad avere un garage sotterraneo riservato ai suoi inquilini, a cui si accede tramite un montacarichi.



view post Posted: 11/4/2024, 13:49     +2Milano insolita e segreta [FOTO] - VIAGGI & NATURA

La Chiesa Ortodossa dei Santi Sergio,
Serafino e Vincenzo martire


Il luogo di culto più “corto” di Milano,
ma al tempo stesso quello con il nome più lungo




Passeggiando dalle parti di Piazza Benedetto Cairoli, all’angolo tra via Giuliani e via Porlezza, ci si può imbattere in quella che i milanesi hanno imparato a chiamare con il nome di “chiesa più corta della città”, talmente stretta che si stenta a credere che possa accogliere delle funzioni. Nonostante i soli settantadue metri quadrati calpestabili, la chiesa viene utilizzata regolarmente dalla comunità ortodossa meneghina per messe, liturgie, feste religiose e momenti di preghiera.







È intitolata ai santi Sergio, Serafino e Vincenzo martire e le sue dimensioni sono talmente ridotte da raggiungere il record di Milano. La particolare forma della chiesa, con la facciata alta dodici metri e la superficie ridotta, è da attribuirsi alle vicende storiche dell’edificio. Sorge non lontano dalla chiesa di San Vincenzino alle Monache, demolita nel 1964 per liberare proprio il tratto di via Giulini compreso tra via Camperio e via Porlezza.


Il preesistente spazio religioso, di cui la chiesa Ortodossa dei Santi Sergio, Serafino e Vincenzo Martire è una parte restante, risale come prima fondazione al 756 come “Monasterium novum” per poi essere riedificata come Chiesa di San Vincenzino intorno al 1500. L’edificio, dopo la soppressione del convento nel 1798 ha avuto diversi usi come magazzino di granaglie, studio di pittori, officina e cinema, per poi essere demolito.


La sua facciata di colore giallo acceso, in netto contrasto con il grigiore dei palazzi circostanti, risale agli anni Sessanta, quando l’edificio, eretto nel 756 d.C., venne ristrutturato e rafforzato nella sua struttura portante. Divenuta luogo di culto solo a seguito della Rivoluzione Francese, la chiesa più corta di Milano è stata utilizzata per secoli come monastero di suore e frati milanesi.


All’interno della chiesa ortodossa l’altare, separato da un’iconostasi, è posto alla destra del portone d’ingresso. Coperti dalle rappresentazioni della comunità russa, si trovano inoltre ancora alcuni affreschi dell’antica chiesa, emblema di una storia della città tutta da scoprire.

















view post Posted: 7/4/2024, 16:35     +12FAMIGLIA POVERA (LA CARITÀ) - Bouguereau

Bouguereau_CharityP

William-Adolphe Bouguereau (1825-1905)
Famiglia povera (La carità)
(The indigent Family - Charity)
1865
olio su tela - 121,9 x 152,4 cm.
Birmingham Museum and Art Gallery, Birmingham


Splendido esempio di pittura da Salon, “Famiglia povera” ben rappresenta lo stile accademico alle prese con un soggetto di scottante attualità: l’infelice situazione delle classi meno abbienti. Accenti realistici, ma di un naturalismo attenuato che non intende emanciparsi dalla cifra stilistica imposta dall’Accademia, si riscontrano in numerosi artisti dell’epoca. Le opere sviluppano un tema già caro al Romanticismo: la riflessione sulla potenza non sempre benigna di madre natura si traduce secondo l’estetica di un Realismo sociale, dai toni drammatici e teatrali e dal sapore dolciastro. Un gusto che caratterizza molte opere del tempo, nelle quali la questione sociale si colora di tinte melodrammatiche, che sanno far leva sulle corde del cuore della borghesia, affascinando anche un pubblico non certo incline alle tesi socialiste.


Bouguereau, pittore di indiscutibile talento, mette in scena un’immagine finalizzata alla commozione dell’osservatore, in cui tutto, dallo sfondo agli atteggiamenti dei personaggi, è studiato per toccare le corde più profonde del cuore dello spettatore. In questa opera monumentale, esposta per la prima volta al Salon di Parigi del 1865, Bougereau presenta una donna con tre figli rannicchiati contro il portico della chiesa della Madeleine a Parigi. Con la sua composizione piramidale fortemente centralizzata e il suo punto di vista basso, il dipinto è concepito come una pala d’altare, con la madre che diventa una sorta di madonna secolare.


Bouguereau mette in scena la sua famiglia di poveri e senza casa, con a destra sullo sfondo il Palazzo dei Conservatori di Michelangelo in Roma. L’imponente edificio signorile accentua, per contrasto, la povertà della famiglia in primo piano.


L’espressione implorante, ma composta, della madre, la dolcezza della bimba che le si appoggia stanca e in cerca di conforto, la serenità del neonato, che ancora non ha coscienza delle privazioni della vita di strada, la rassegnazione del figlio maggiore, abbandonato ai piedi della madre e l’assenza della figura paterna, delineano uno spaccato di vita quotidiana assai famigliare ai benestanti parigini.








La tela offre uno spunto per un interessante confronto con un’opera di soggetto simile realizzata anni prima da Honoré Daumier: “Il vagone di terza classe”.



Honoré Daumier
Il vagone di terza classe (The Third-Class Carriage)
1862
olio su tela - 67 x 93 cm.
Ottawa, National Gallery of Canada



Allo schietto realismo di Daumier, che ritrae con disarmante pragmatismo una famiglia simile nella composizione e appartenenza sociale, si contrappone lo stile edulcorato e levigato di Bouguereau, che abbandonata ogni velleità di denuncia sociale e, accentuati gli aspetti più pietosi, trasforma la scena in un melodramma ad uso e consumo delle classi alte. (M.@rt)










view post Posted: 4/4/2024, 18:41     +11GIOVANE RAGAZZA CHE LEGGE IL CORANO - Osman Hamdi Bey - ARTISTICA

“Il più parigino degli ottomani, il più ottomano dei parigini”.


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Osman Hamdi Bey
Giovane ragazza che legge il Corano (Girl reciting Qur’an)
1880
olio su tela - 41,1 x 51 cm.
Collezione privata


La natura caleidoscopica della vita di Osman Hamdi e la sua posizione di rilievo nei circoli intellettuali francesi e ottomani di fine Ottocento lo hanno reso un simbolo controverso del nazionalismo turco e della riforma culturale. Nella sua veste di pittore orientalista, inoltre, è stato a lungo considerato una curiosità all'interno del genere: troppo turco per alcuni, troppo francese per altri. Particolare attenzione è stata rivolta ai quadri di harem dell’artista, che ritraggono una o più donne impegnate nelle loro attività quotidiane, interpretati sia come commenti puntuali sulle idee sbagliate sull’istituzione dell'harem in Occidente sia come documenti affidabili di un “insider” dell’Oriente. Al contempo i dettagli reali di queste composizioni sono stati spesso ignorati. Tornando al loro soggetto e al contesto delle loro origini è possibile ottenere una comprensione più storica e informativa di queste immagini, come in una delle prime e più rappresentative immagini di harem, la “Giovane donna che legge” rappresenta un caso particolarmente importante e rivelatore.



Conosciuta più comunemente come “Giovane ragazza che legge il Corano”, mostra molte delle qualità per cui Osman Hamdi è diventato famoso: l'abito impeccabile della figura inginocchiata e lo sfondo decorativo in cui è inserita, ricco di colori e disegni islamici, sono caratteristiche assolute dell'artista, così come la sorprendente chiarezza dello stile altamente dettagliato del quadro. La precisione della sua superficie, tuttavia, nasconde significative ambiguità al suo interno: Il libro che la donna ha scelto, la direzione del suo sguardo, persino la separazione delle labbra e i bottoni al collo, sono tutti elementi che servono a minare le nostre prime impressioni sulla scena. Quello che inizia come un grazioso quadro di harem, in altre parole, diventa un testo complicato e multi-referenziale che affronta una varietà di questioni di attualità all’interno dei confini dell’orientalismo, della storia dell’arte del XIX secolo e degli aspetti della stessa biografia dell’artista. Attraverso la trasposizione di modelli britannici, francesi e turchi e la manipolazione dei loro temi, “Giovane ragazza che legge” dimostra la natura unica dell’orientalismo di Osman Hamdi e il suo gusto artistico.


La formazione artistica di Osman Hamdi iniziò a Parigi nei primi anni Sessanta del XIX secolo, nell’atelier di Gustave Boulanger e sotto la probabile influenza di Jean-Léon Gérôme, la cui arte e presenza come insegnante dominavano il mondo artistico parigino dell’epoca. Osman Hamdi , uno dei primi artisti ottomani a creare un ponte tra i mondi artistici della Turchia e della Francia e ad adottare lo stile figurativo accademico dell’École, fece da modello per Boulanger prima di iscriversi formalmente come studente nel suo atelier.

L’impatto di entrambi i maestri è evidente nello stile e nel soggetto dei quadri di Osman Hamdi, che rispecchiano, per molti aspetti, i soggetti orientalisti che riscuotevano tanto successo in Europa all’epoca. Negli anni Ottanta dell’Ottocento, l’artista iniziò a realizzare una serie di quadri di harem, uno dei temi più popolari e seducenti. Tuttavia, nelle mani di Osman Hamdi, le atmosfere e gli abitanti di questi spazi storici si trasformano in modo significativo e pregnante.


Nel quadro l’erotismo familiare dell’harem è mitigato dalla figura femminile impettita e dalla sua posa compatta e chiusa in se stessa. Collocato nella stanza come una bambola di carta appiattita, il suo corpo diventa meno attrattivo e vitale rispetto ai motivi colorati disposti contro la parete di fondo. Questa enfasi sugli aspetti formali della composizione, così come l’importanza e l’intricatezza del tessuto e del vestito, ricorda i quadri di harem del pittore britannico John Frederick Lewis, di cui Osman Hamdi forse conosceva le celebri opere ampiamente riprodotte.


Anche le immagini di ragazze e donne che leggono sarebbero state familiari a Osman Hamdi nella sua patria d’adozione, Parigi, anche se i soggetti erano decisamente più osé. In particolare negli anni Settanta e Ottanta dell’Ottocento, con i cambiamenti nella forza lavoro e la ricerca di attività per il tempo libero in aumento, le preoccupazioni per l’alfabetizzazione femminile, l’accesso al giornalismo e l’influenza corrosiva di certi libri sulle menti di giovani ragazze impressionabili, portarono a un’ondata di immagini dipinte di liseuse, o lettrici, in una varietà di ambienti e stili. Tra le opere che affollavano i Salon e le pareti delle gallerie c’erano quelle che ritraevano donne che leggevano poesie, forse il più “pericoloso” dei generi. Con il suo interesse per l’amore e il dramma, la poesia era considerata un tipo di studio più viscerale di quello che altre forme di lettura richiedevano o consentivano: dinoccolate in un mite abbandono, con le labbra aperte nella recitazione dei versi, i soggetti femminili di queste immagini erano decisamente più sensuali che morali o benevoli. Nella trasposizione di Osman Hamdi di questa tendenza, viene mantenuta un’aria di gentile provocazione, anche se sotto una patina di semplicità.


Nella trasposizione di Osman Hamdi di questa tendenza, viene mantenuta una certa atmosfera di lieve provocazione, anche se sotto una patina di semplicità. La giovane donna è inginocchiata davanti a un libro aperto, posto su un supporto di legno intarsiato. La schiena è eretta, gli occhi abbassati e le mani poggiano delicatamente sulle cosce. La copertina del libro è protetta da una stoffa floreale delicatamente ricamata, a suggerire il suo valore e l’importanza della sua custodia. La posizione elevata del libro e la presenza di un tappeto da preghiera (in turco seccade) suggeriscono che si tratta di un testo religioso, probabilmente il Corano. Anche la somiglianza della posa della giovane donna con quella di altre figure dell’opera di Osman Hamdi, più chiaramente impegnate in atti di devozione, e l’arabesco sinuoso del fumo profumato che fuoriesce da un bruciatore di incenso posto nelle vicinanze, sottolineano gli aspetti religiosi del tema.


Come ha osservato il noto studioso Edhem Eldem, tuttavia, “[Una] visione parziale della pagina aperta dice il contrario. Lo stile calligrafico taliq non è stato utilizzato per il Corano e le poche parole che si possono decifrare confermano questa discrepanza. Nell’ultima riga si legge ‘az ān’, che in persiano significa ‘da questo’. Questo farebbe pensare a un volume di poesie, ma un formato così grande con solo quattro righe di appena quattro o cinque parole ciascuna [rende anche questo] altamente improbabile. Con ogni probabilità si tratta di scarabocchi ‘decorativi’, destinati ai clienti prevalentemente stranieri dell’artista. Questa interpretazione è ulteriormente rafforzata dal fatto che la parola sulla seconda riga recita ‘Hamdi’, il nome [dell'artista], un trucco scherzoso a cui spesso ricorreva per inserire il suo nome nella scrittura araba in dipinti che firmava quasi esclusivamente in francese.”


I numerosi riferimenti moderni a questo quadro come “Giovane ragazza che legge il Corano”, quindi, sono stati fuorvianti: piuttosto che un’immagine di devozione, l’artista si è cimentato in un gioco. La discrepanza significativa che Eldem osserva in “Giovane donna che legge”, segnalata dal libro, si scopre anche altrove nella composizione. I dettagli architettonici, gli accessori, i tessuti e gli oggetti esotici ricorrono regolarmente nelle sue opere, suggerendo che il rapporto tra documentazione e immaginazione è più complesso di quanto sembri. È importante notare in questo contesto che i dipinti di Osman Hamdi sono stati esposti raramente, se non mai, nella sua nativa Turchia, dove tali incongruenze avrebbero potuto essere più facilmente osservate.


Il sorprendente motivo geometrico delle grate metalliche della finestra aperta, è simile a quelli presenti sul lato destro di “Donne che passeggiano” (1887, Collezione Yapi Kredi Bankasi) e di “Donne all’ingresso della moschea di Sultan Ahmed” (Collezione Erol Kerim Aksoy), nonché a quelli di “Due ragazze musiciste” , mentre la distesa quasi ipnotica di piastrelle esagonali bianche e blu, ispirata agli esempi presenti nelle collezioni dei musei locali e a quelli osservati in situ al Palazzo Topkapi e alla Moschea Verde (Yeşil Cami) di Bursa, riappare in “Quattro schiave” (1880, Collezione Erol Kerim Aksoy), con un effetto altrettanto abbagliante.


Anche il vestito giallo brillante della donna è una presenza familiare nelle opere di Osman Hamdi di questo periodo, essendo presente in “Gathering Lilacs” (1881, collezione privata) e “Young Woman Standing” (1884, collezione privata). La sua ripetizione crea un ulteriore legame tra i soggetti dei suoi quadri e allude a un intrigante filo narrativo.

La cura con cui l’abbigliamento è reso nell’arte di Osman Hamdi è significativa per ragioni che vanno anche al di là dei quadri. La moda femminile a Costantinopoli era in continua evoluzione e cambiamento fin dagli anni Cinquanta del XIX secolo. Le riviste di moda francesi erano ampiamente diffuse - anche all’interno dell’harem - e gli abiti venivano ordinati direttamente da Parigi o commissionati alle sarte di Pera, per riprodurne gli stili. Man mano che gli elementi della moda europea venivano adottati in modo selettivo e combinati con gli abiti tradizionali turchi, emergeva uno stile ibrido, che non era conforme all’immaginario esotico degli artisti e dei viaggiatori europei e che quindi veniva spesso omesso dalle loro opere. Le numerose immagini di Osman Hamdi che ritraggono donne turche che sfoggiano l’attualità degli abiti da interno e da esterno, e la giovane donna della tela in esame, sono ancora più importanti per la loro fedele testimonianza dei cambiamenti che stavano avvenendo. Ciò è particolarmente evidente nelle opere di Osman Hamdi degli anni Ottanta e Novanta del Novecento, in cui le tradizionali cappe sartoriali delle donne turche, o i mantelli da esterno, punteggiano le sue tele con i colori e la vivacità introdotti di recente. Attraverso questa cronaca delle realtà sartoriali, le immagini di Osman Hamdi possono essere viste sia come il progetto di un etnografo di recupero, desideroso di immortalare le vestigia rimaste, sia come quello di un giornalista, in prima linea sul fronte della moda e dello stile.


Paradossalmente, data l’attenzione di Osman Hamdi per l’attualità, testimoniata dall’abbigliamento e dai vestiti, gli ambienti all’interno delle sue immagini sono spesso senza tempo, immobili e fermi. Basati su vari esempi di architettura mamelucca e ottomana e messi insieme dalle sue vaste collezioni di fotografie e stampe, questi vuoti simili a collage evocano l’atmosfera di un museo, in cui lo spettatore è un ospite privilegiato e ben educato. Questa impressione è rafforzata dalle esposizioni di prodotti artigianali e locali che si trovano all’interno delle loro pareti.

Calma, fredda e raccolta, la lontananza priva di emozioni della figura della “Giovane donna che legge” trasmette un messaggio paragonabile a quello della moderazione e del rimprovero. Gli occhi sono abbassati, la postura è rigida e le labbra, nonostante siano aperte, non invogliano né tentano. Sebbene le sue origini possano risalire alle immagini di harem di Gérôme e Boulanger e alle immagini contemporanee di lettrici in Gran Bretagna e in Francia, Osman Hamdi ha trasformato questa donna in qualcosa di molto nuovo. È l’anti-odalisca, la bambina innocente ormai matura e la donna turca progressista. L'interesse dell'artista per questo soggetto è testimoniato dalla sua ricorrenza nella sua arte, in varie declinazioni nel corso degli anni. (M.@rt)




view post Posted: 3/4/2024, 21:17     +5L'ADDESTRATORE DI TARTARUGHE - Osman Hamdi Bey - ARTISTICA


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Osman Hamdi Bey
Complesso Çoban Mustafa Pasha a Gebze ( Gebze’de Çoban Mustafa Paşa Külliyesi)
(Çoban Mustafa Paşa Complex in Gebze)
1880 circa
olio su tela - 27 × 33,5 cm.
Istanbul, Museo Pera


Il dipinto raffigura il palazzo (külliye) Çoban Mustafa a Gebze, costruito dal celebre architetto ottomano Mimar Sinan nel XVI secolo; sono visibili le cupole e i minareti della moschea del complesso. Oltre alla moschea, Il külliye comprende una cucina, una madrasa ( una specie di convitto musulmano ove si impartiscono insegnamenti di religione e diritto) alcune tombe,una loggia, una biblioteca, un caravanserraglio e un bagno (hamam). Çoban Mustafa Paşa servì come capitano e sposò Hafsa Sultan, sorella di Solimano il Magnifico. Sebbene non si conosca la data esatta di realizzazione dell’opera, si pensa che sia stata dipinta intorno al 1880. Partecipò alle campagne di Belgrado e di Rodi. Morì nel 1529 quando stava per partire per la campagna di Vienna; il suo corpo fu sepolto nella tomba del complesso di Çoban Mustafa Pasha a Gebze. Osman Hamdi Bey dipinse anche il complesso di Çoban Mustafa Pasha e la sua tomba.


L’interesse di Osman Hamdi Bey per Gebze risalirebbe alla villa del padre a Eskihisar. Negli ultimi tempi dell’Impero Ottomano, Gebze e i villaggi circostanti erano tra le località estive preferite, soprattutto dai membri di alto rango dell’amministrazione. Anche il padre di Osman Hamdi Bey possedeva una villa nel villaggio di Eskihisar. Osman Hamdi Bey scoprì Eskihisar quando visitò la villa del padre a Gebze; in gioventù acquistò qui ventotto acri di terreno.

Nel 1884 costruì una villa in questa splendida baia sul mare. L’edificio, il cui progetto era stato disegnato da lui stesso, presenta tracce dell’architettura francese. I materiali tecnici come le piastrelle, i mattoni e le parti in legno dell’edificio furono portati via nave da Lione, in Francia. Osman Hamdi, che amava molto Eskihisar, veniva in questa casa con la sua famiglia non appena era libero dai suoi studi ufficiali e scientific, trascorrendo il suo tempo dipingendo nel giardino e nell’atelier di pittura. Osman Hamdi Bey trascorse quasi tutte le estati per ventisei anni della sua vita nel villaggio di Eskihisar dal 1884. Osman Hamdi Bey non smise mai di dipingere mentre continuava i suoi studi museali e archeologici. Di solito realizzava i suoi quadri durante i mesi estivi che trascorreva a Eskihisari; qui realizzò i suoi dipinti più famosi.

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Osman Hamdi Bey
Gebze'den Manzaralar
1881
olio su tela - 72 x 119 cm
Museo Statale di Pittura e Scultura, Istanbul



Oltre al Complesso di Çoban Mustafa Pasha a Gebze, che è uno dei dipinti più importanti, c’è anche un dipinto intitolato “Paesaggi di Gebze” (Gebze’den Manzaralar) in cui raffigura Gebze. Inoltre, ognuno dei bellissimi dipinti floreali che dipinse sulle porte di legno del piano d’ingresso della Osman Hamdi Bey Mansion nel 1901-1903 ha un valore artistico pari a quello dei dipinti sopracitati.

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Osman Hamdi, che fu pittore, archeologo, museologo e scrittore, oltre che burocrate, diplomatico, amministratore e scienziato, lavorò instancabilmente fino alla fine della sua vita e morì nella sua villa di Kuruçeşme(Beşiktaş) il 24 febbraio 1910 dopo una breve malattia. La preghiera funebre si tenne nella Moschea di Santa Sofia e, in ottemperanza con le sue volontà, Osman Hamdi fu sepolto in una radura tra gli alberi dietro la casa colonica, che aveva costruito a Eskihisar e sopra di essa furono collocati ciste e sarcofagi del periodo selgiuchide portati dall’Anatolia.(M.@rt)



view post Posted: 3/4/2024, 17:12     +5L'ADDESTRATORE DI TARTARUGHE - Osman Hamdi Bey - ARTISTICA



Osman Hamdi Bey
Ragazza con il cappuccio rosa (Girl with pink cap)
giugno 1904
olio su tela - 50 x 40 cm.
Istanbul, Pera Museum


Nel dipinto, una ragazza vestita in stile occidentale, con un copricapo rosa, e l’abito e il grembiule in toni simili, in piedi in uno spazio aperto, con alle spalle della vegetazione. L’immagine mostra il ritratto delI’ultima figlia di Osman Hamdi Bey e Mary/Naile Hanàm, Nazlà (4 settembre 1893 e il 1 agosto 1958), all’epoca undicenne. Il ritratto si trova nella Collezione di pittura orientalista del Museo di Pera. (M.@rt)


view post Posted: 3/4/2024, 11:17     +7L'ADDESTRATORE DI TARTARUGHE - Osman Hamdi Bey - ARTISTICA

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Osman Hamdi Bey
Donna ottomana, si prepara per un’uscita
(Ottoman Lady, preparing for an outing)
1880 circa
olio su tavola - 68 x 45 cm.
Collezione privata


Questo bellissimo ritratto di una donna che si prepara per una passeggiata fonde la pittura accademica occidentale con la sensibilità orientale. Osman Hamdi Bey è stato il primo pittore turco ad abbracciare pienamente lo stile pittorico occidentale: burocrate, archeologo, e direttore di museo fu uno dei pittori di maggior successo dell’Orientalismo, occupando una posizione di rilievo nella vita culturale turca della seconda metà del XIX secolo.


Come membro di una famiglia ottomana dell’alta borghesia, visse una vita molto orientata all’Occidente. Nel 1860 fu mandato a Parigi dalla sua famiglia per proseguire gli studi e lì decise di dedicarsi alla pittura, studiando arte sotto la supervisione dei famosi pittori orientalisti francesi Jean-Léon Gérôme e Gustave Boulanger. Nel 1869, dopo nove anni nella capitale francese, tornò a Istanbul. Dopo aver ricoperto diversi incarichi nella burocrazia ottomana, nel 1881 fu nominato direttore del Museo Imperiale Ottomano e poco dopo fondò l’Accademia di Belle Arti, che esiste ancora oggi a Istanbul come Università di Belle Arti Mimar Sinan.


Il dipinto in esame non è datato, ma si può ipotizzare che sia stato realizzato negli anni Ottanta del XIX secolo, poiché Hamdi ha raffigurato scene simili con donne in diverse opere di questo periodo.

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Osman Hamdi Bey
Dama turca di Costantinopoli
1881
Firmato e datato ‘81 in alto a sinistra
olio si tela -185 x 109 cm.
Collezione privata



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Si tratta di una veduta intima di una giovane donna dell’harem che si guarda allo specchio mentre si acconcia per uscire. Sembra provenire da un ambiente privilegiato e indossa un abito giallo/ocra, un esempio dell’interesse di Hamdi nel catturare la moda del suo tempo. La si vede mentre si lega il foulard, detto yemenita. Sul divano è appoggiato il suo caftano nero, un soprabito chiamato ferace, che veniva indossato sopra l’abito quando si era all’aperto. La stanza è decorata con un kavukluk, un porta-turbanti ottomano, posto in un angolo. La donna è inginocchiata su un cuscino ottomano di seta yastik, mentre il pavimento è coperto da una stuoia hasır. Dietro di lei è raffigurato un grande divano angolare blu rivestito di velluto ricamato a çatma, proveniente da Bursa.





Gli artisti orientalisti europei come Gérôme e Boulanger avevano non avevano possibilità di osservare la vita quotidiana orientale, non avendo accesso alle aree private, come l’harem. Ciò ha portato a raffigurare un Oriente immaginario e mistificato. Hamdi Bey costruì una rappresentazione più realistica della vita privata in Oriente, come nella presente tavola. (M.@rt)




view post Posted: 30/3/2024, 13:47     +10La recherche de l’absolu (La ricerca dell'assoluto) - Magritte

“Tutta la vita dell’anima umana è un movimento nella penombra.
Viviamo, nell’imbrunire della coscienza,
mai certi di cosa siamo o di cosa supponiamo di essere”.
(Fernando Pessoa)


magritte_la_recherche_de_labsolu_1960P

René Magritte (1898-1967)
La recherche de l’absolu
1960
Firmato 'Magritte' (in basso a sinistra)
gouache su carta - 23,9 x 29,2cm.
Collezione privata


“La recherche de l’absolu”, squisita gouache autunnale del 1960, mostra uno dei motivi preferiti e più iconici dell’artista belga: la fronda dell’albero. Ma mentre nelle sue precedenti esplorazioni di questo tema la foglia era verde e si ergeva imponente, assurda, magica e magnifica nel suo contesto paesaggistico, qui è privata del “fogliame”, i rami o le venature descrivono la forma di una foglia e sono l’unica traccia rimasta del suo precedente aspetto verdeggiante.
Tuttavia, l’enfatica piattezza della foglia è stata mantenuta in questa immagine, consentendo di mantenere il gioco concettuale di Magritte. Allo stesso tempo, apparendo spoglia e lasciando così filtrare il bagliore rosa del cielo attraverso la sua trama di rami, “La recherche de l’absolu” raggiunge un profondo senso di lirismo visivo che si aggiunge all’adeguatezza del suo titolo, a sua volta tratto da un celebre romanzo omonimo di Honoré de Balzac, pubblicato nel 1834, in cui la tesi di fondo è che dietro la quieta apparenza del vivere quotidiano si celano sentimenti, passioni e conflitti profondi. Secondo il maestro del surrealismo “tutto ciò che vediamo nasconde un’altra cosa; noi abbiamo sempre voglia di vedere ciò che è nascosto da ciò che vediamo”. In questo dipinto l’artista stimola l’osservatore a riflettere sulla realtà, ad andare al di là delle apparenze, per cercare questi significati nascosti. L’opera è stata presentata in diverse mostre, tra cui due rassegne internazionali dedicate all’arte di Magritte.


“La recherche de l’absolu” è una rivisitazione a guazzo di un tema che Magritte aveva esplorato per la prima volta nel 1940 in tre dipinti (uno dei quali è oggi di proprietà del Ministère de la Communauté Française de Belgique, a Bruxelles); i tre oli, di cui rimase particolarmente soddisfatto, raffigurano un grande albero nudo contro un paesaggio generico dominato da un vasto cielo.



René Magritte (1898-1967)
La recherche de l’absolu
1940




Scrisse di questo gruppo di opere, due orizzontali e una verticale, a Claude Spaak il 5 gennaio 1941: “Tra le tele recenti, ci sono tre versioni di ’La recherche de l’absolu’, che è un albero senza foglie, ma con rami che forniscono la forma di una foglia. Una versione si svolge la sera con il sole al tramonto, un’altra al mattino con una sfera bianca all’orizzonte e la terza mostra questa grande foglia che si erge contro un cielo stellato. Queste ricerche mi hanno permesso di produrre tre immagini molto pure, di cui sareste molto contento, credo”. Due versioni del dipinto vennero subito vendute e la terza, quella in notturno, rimase nelle mani di Magritte che oltre una decina di anni più tardi la ritoccò in alcuni punti.



René Magritte
La recherche de l’absolu
1940
olio su tela - 50 x 65,5 cm.
Collezione privata


Nel quadro ambientato in una serena notte stellata domina un albero foglia, un grande albero spoglio che assume la forma di una foglia ed i cui rami sembrano le nervature della stessa foglia. Magritte arriva pertanto a racchiudere in un’unica forma, sia un albero che una foglia giungendo così ad una sintesi sorprendente che li pone in una inestricabile relazione percettiva. La suggestione del dipinto si completa con il realistico profilo di alcune montagne e, appunto, con un cielo stellato. È tipico del Magritte maturo, ormai consapevole e padrone dei propri mezzi, confonderci e sorprenderci inserendo in un contesto estremamente realistico e verosimile ai nostri occhi, un elemento spiazzante e paradossale quale l’albero foglia.


In quell’opera, il caldo rosa crepuscolare della gouache del 1960 è assente, sostituito da un cielo blu fresco e nitido; delle altre due versioni del 1940, una mostra la foglia dell’albero protesa verso un cielo stellato e un’altra sostituisce il sole con una sfera appoggiata all’orizzonte, accentuando il contrasto con la piattezza introdotta dalla superficie piana della foglia. Osservando la veduta serale del 1940, la composizione è chiaramente simile: in entrambe le immagini, c’è una fascia di montagne lontane sovrastate da un sole rossastro. La scarnificazione della versione del 1940 può riflettere l’atmosfera dell’epoca, dipinta quindi dopo l'invasione e l’occupazione nazista del Belgio, paese natale di Magritte, avvenuta nel maggio dello stesso anno.



René Magritte
La géante
1935
firmato 'magritte' (in alto a destra); firmato, intitolato e datato ‘LA GEANTE MAGRITTE 1935’ (sul retro)
olio su tela - 73 x 60cm.
Collezione privata


Guardando “La recherche de l’absolu”, Magritte sembra essere stato ancora influenzato dal tono o dalle ansie dell’epoca, come si evince dall’immagine cruda e fredda della foglia d’albero spoglia. È un netto contrasto con la lussureggiante opulenza del primo albero-foglia, “La géante”, dipinto solo cinque anni prima.

All’inizio della Seconda guerra mondiale, Magritte si era preoccupato di come dipingere e di cosa dipingere; in seguito avrebbe iniziato a creare una serie di opere spesso piene di luce e di gioia, fino ad arrivare ai suoi quadri pseudo-impressionisti; questa risposta al conflitto fu considerata inappropriata da alcuni, che ritenevano che i tempi bui richiedessero un’espressione artistica cupa, eppure dimostrò un’incredibile forza di volontà, poiché Magritte usò i suoi quadri per invocare la pace e la pace.

Quando nel 1960 riprese il tema de “La recherche de l’absolu” nella gouache in esame, la tensione della Seconda guerra mondiale è ormai lontana; di conseguenza, la rivisitazione del tema ha un calore romantico che mancava nella sua più fredda incarnazione precedente. In effetti, la sensazione di romanticismo è alla base di questo quadro: ricorda alcuni dei tramonti e delle albe contemplative catturate con tanta poesia dal pittore tedesco Caspar David Friedrich. In effetti, il contrasto tra i rami, o le venature, di questa foglia d’albero contro il cielo rosa ricorda la sua opera del 1833 “Mattino di Pasqua” (Ostermorgen), oggi conservata al Musée Thyssen-Bornemisza di Madrid. Richiamando deliberatamente il linguaggio visivo di Friedrich, Magritte ha raffigurato il suo ampio paesaggio con un orizzonte basso, che conduce a una distanza meditativa, con la singola foglia d’albero in primo piano che funge da ancoraggio alla composizione, in analogia non per gli alberi del Mattino di Pasqua, ma piuttosto per le figure, spesso solitarie, che il maestro tedesco utilizzava nei primi piani dei suoi quadri. (M.@rt)




view post Posted: 24/3/2024, 13:59     +2Milano insolita e segreta [FOTO] - VIAGGI & NATURA

Villino Maria Luisa:

il gioiello Liberty di Corso Magenta a Milano




Nel cuore di Milano, a pochi passi dalla stazione della metropolitana di Conciliazione in via Pietro Tamburini 8, nella zona adiacente a Corso Magenta, si può ammirare un tesoro dell’architettura Liberty: il Villino Maria Luisa. Questa incantevole dimora, meno nota rispetto ad altri più celebri palazzi cittadini, rappresenta una perla rara di bellezza e storia, un vero e proprio gioiello incastonato nel tessuto urbano milanese.


Simbolo di modernità e progresso, espressione di nuove tendenze artistiche, il Villino Maria Luisa fu costruito nel 1906. Lo stile Liberty, che si contraddistingue per le sue linee fluide, le forme ispirate alla natura e l’uso innovativo di materiali, come il ferro e il vetro, trovò terreno fertile a Milano tra la fine dell’800 e gli inizi del ‘900.


L’edificio si articola su due piani ed è caratterizzato da una ricca decorazione dell’esterno: il piano superiore della facciata è ornato da uno stupendo mosaico sui toni del blu e dell’oro, ispirato alla tradizione neogotica, che raffigura un cielo notturno stellato e che rievoca quasi il soffitto giottesco della Cappella degli Scrovegni.





Ai lati del palazzo si trovano vasi fioriti, tra i temi più classici dell’art déco. Pregevoli sono anche i ferri battuti del balcone e del cancello, un trionfo di elementi naturalistici e motivi floreali, opera dell’artigiano Alessandro Mazzucotelli, particolarmente noto come mastro ferraio e per la raffinatezza delle sue decorazioni in metallo, che lo resero uno dei maggiori esponenti del Liberty in Italia. La magnificenza del mosaico del piano superiore lascia spazio alla decorazione più semplice e comune in pietra del registro inferiore, che ciononostante riesce a integrarsi perfettamente con l’apparato ornamentale.


Finestre ampie e luminose, perfettamente in proporzione con i prospetti della casa, sono ornate da cornici e vetrate caratterizzate da fantasie geometriche nel pieno rispetto dello stile Art Nouveau: al centro sono divise da colonnine a sezione poligonale che terminano con un capitello, anch’esso decorato con motivi semplici e lineari. Una curiosità: durante la Seconda Guerra Mondiale un soldato tedesco rimase così colpito dalla bellezza del cancello da ordinare di risparmiarlo dal saccheggio.







view post Posted: 19/3/2024, 18:37     +13L’utopie (Utopia) - Magritte

“Per il periodo che chiamo ‘Surréalisme en plein soleil’, cerco di unire due cose che si escludono a vicenda: una, un sentimento di leggerezza, ebbrezza, felicità, che dipende da un certo stato d’animo e da un’atmosfera che certi impressionisti, o meglio, l’Impressionismo in generale, sono riusciti a rendere in pittura. Senza l’Impressionismo, non credo che conosceremmo questo sentimento di oggetti reali percepiti attraverso colori e sfumature, e liberi da ogni reminiscenza classica... e, due, un sentimento della qualità misteriosa degli oggetti”. (René Magritte)

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René Magritte (1898-1967)
L’utopie (Utopia)
1945
Firmato ‘Magritte’ (a destra); intitolato e datato '1945' (sul retro)
olio su tela - 60,4 x 80,3 cm.
Collezione privata


Dipinta nel giugno 1945, Magritte stesso descrisse la scena de “L’utopie” nella sua pubblicazione “Dix tableaux de Magritte précédes de descriptions”, edita l’anno successivo. Lì spiega che “la rosa è sola su un’isola” (D. Sylvester, René Magritte Catalogue Raisonné, vol. II, Londra, 1993). Questo senso di solitudine del fiore, già enfatizzato dall’ampiezza dell’orizzonte lontano e dalla vastità dell’oceano, viene così rafforzato dalla dichiarazione di Magritte e dalla sua stessa intenzione dichiarata. Come ha fatto la rosa a raggiungere l’isola? Questa strana e solitaria fioritura è uno scorcio di poetico e di misterioso, persino di miracoloso, ed è tanto più suggestiva come immagine di speranza all’indomani della cessata occupazione del Belgio.


L’occupazione tedesca del Belgio aveva avuto un profondo impatto sulla concezione del Surrealismo di Magritte: “Dall’inizio di questa guerra ho avuto un forte desiderio di raggiungere una nuova efficacia poetica che ci procurasse fascino e piacere. Lascio ad altri il compito di provocare ansia e terrore e di rimescolare tutto come prima”. (D. Sylvester e S. Whitfield, René Magritte, Catalogue Raisonné. Oil Paintings and Objects 1931-1948, vol. II, Londra, 1993) . Il nazismo, con orrore di Magritte, era riuscito laddove il surrealismo aveva fallito nel sconvolgere la società. Per rispondere efficacemente all’estrema devastazione degli anni Quaranta, il Surrealismo doveva cambiare. Magritte attua questo cambiamento alterando radicalmente il suo stile e producendo due serie rivoluzionarie: il “Surréalisme en plein soleil”, a cui appartiene la presente opera, e il periodo “Vache”, una sorta di parodia del fauvismo, creata nel 1948 a Parigi.


Il promontorio e la rosa de “L’utopie” sembrano essere stati dipinti nello stile finto-impressionista che Magritte definiva Surréalisme en plein soleil (The “Renoir” period). Mentre le sue opere precedenti avevano deliberatamente evitato un senso di “stile” nella resa dei loro soggetti strani e incongrui, ora Magritte aggiunge un ulteriore strato di incongruità enfatizzando lo status del dipinto come rappresentazione soggettiva del mondo, sfruttando al contempo l’associazione tra Impressionismo e Realismo. L’artista introduce così una tensione tra uno stile pittorico associato alla cattura di un momento di fugace “realtà” e il proprio universo surreale e poetico, offrendo al contempo uno scorcio di luce solare durante i giorni bui della Seconda Guerra Mondiale.



René Magritte
La Préméditation (Forethought)
1943
olio su tela - 55,3 x 46,2 cm.
Collezione privata


Allo stesso tempo, si divertiva a scioccare anche i suoi sostenitori più accaniti adottando deliberatamente e in modo irriverente uno stile allora associato al gusto borghese. Il surrealismo di Magritte mirava a scuotere i suoi spettatori da una comprensione compiacente del mondo che li circondava, ma egli era consapevole che i suoi stessi ammiratori e seguaci avevano sviluppato delle aspettative nei confronti delle sue opere. “L’utopie” e le sue opere affini del “Surréalisme en plein soleil” sconvolsero gli spettatori nella loro comprensione compiaciuta delle sue immagini e dell’universo.



René Magritte
L’Océan
1943
olio su tela - 50,5 x 65,5 cm.
Collezione privata




In difesa dello stile impressionista del “periodo soleggiato”, Magritte scrisse in una lettera a Breton nel 1946: “Lo scompiglio, il panico che il surrealismo ha cercato di creare per rimettere tutto in discussione, i cretini nazisti ci sono riusciti molto meglio di noi, e non c’era modo di evitarlo... A fronte del pessimismo diffuso, propongo la ricerca della gioia, del piacere. Questa gioia e questo piacere, così comuni eppure così irraggiungibili, mi sembra che dipendano solo da noi”. (H. Torczyner, Magritte: Ideas and Images,New York, 1977).


Il primo proprietario de “L’utopie” fu Achille Chavée, scrittore, amico di Magritte e membro di spicco del gruppo surrealista di Hainaut, che possedeva diversi quadri dell’artista. Nel periodo in cui “L’utopie” fu dipinto, i due collaborarono a lungo alla realizzazione di una grande mostra sul Surrealismo belga che si tenne alla Galerie des Editions La Boétie di Bruxelles, una mostra dominata dalle opere dello stesso Magritte, a testimonianza della sua centralità per il movimento surrealista di quella nazione. (M.@rt)



view post Posted: 17/3/2024, 18:38     +4Un aforisma al giorno - ANGOLO LETTURA



Quando sei morto non sai di essere morto.
La sofferenza è solo per gli altri.

È lo stesso quando sei stupido.

(Richard Feynman)

view post Posted: 11/3/2024, 12:39     +7Un aforisma al giorno - ANGOLO LETTURA



Il mondo si divide in buoni e cattivi.
I buoni dormono meglio
ma i cattivi, da svegli, si divertono molto di più.


( Woody Allen)

view post Posted: 26/2/2024, 20:24     +4Nu au cyclamen, Gstaad (Nudo con ciclamino) - Chagall

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Marc Chagall (1887-1985)
Nudo con ciclamino (Nu au cyclamen, Gstaad)
firmato “Marc Chagall” (in basso a destra)
1971
gouache, acquerello, pastelli a cera colorati, pennello e inchiostro nero su carta
63,8 x 50,4 cm.
Collezione privata


Marc Chagall si affermò fin dall’inizio come colorista, ma fu solo nell’ultima parte della sua vita che il colore raggiunse la sua piena luminosità e pienezza nelle sue opere. Fu nei primi anni Settanta (sfruttando le lezioni apprese lavorando a diverse commissioni pubbliche su larga scala per vetrate) che la luce e il colore divennero elementi essenziali nell’opera dell’artista. “Nu au cyclamen, Gstaad” è soffuso di luce e di colori inondati dal sole, che Chagall ha completato con la sua gestione ariosa e libera del pigmento. L’immagine impiegata combina alcuni dei soggetti preferiti da Chagall in una composizione di grande bellezza poetica. Come molte delle sue opere migliori, questo dipinto a guazzo e acquerello rappresenta due amanti colti nell’iniziale eccitazione dell’amore, circondati da bouquet floreali che esplodono in un tripudio di colori.


Il tema dei giovani amanti è il soggetto più frequente nei dipinti del maestro. Ha eseguito molte varianti di questo tema e, come si addice ai misteri dell’amore umano e come è caratteristico dell’opera di Chagall in generale, raramente c’è una narrazione lineare o chiaramente logica dietro questi dipinti. Il tempo è stato compresso e gli eventi sembrano svolgersi nella nebbia dei ricordi o dei sogni. Susan Compton scrive: “Era una visione dell’amore ‘vero’, quello che l’artista avrebbe condiviso con la moglie Bella… Questa celebrazione degli amanti è altrettanto fantastica, perché la loro gioia li ha fatti levitare da terra. I volti sono abbastanza reali, ma ora la loro posizione è immaginaria. Eppure, con questo espediente Chagall è riuscito a condensare la magia dell’amore umano, mutuato forse dal mondo delle fiabe popolari, dove l’eroe e l’eroina vivono per sempre felici e contenti”. (Chagall, Royal Academy, Londra, 1985). (M.@rt)




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